Millennial chi? Ritratto di una (non-)generazione

“Chiaramente sono più Millennial di te.”

Millennial chi?” – mi chiedo.

Il commento è banale: il termine Millennial è ormai di uso quotidiano e indica la generazione nata approssimativamente tra il 1980 e il 2000. La domanda è esistenziale: cosa vuol dire essere Millennial?

Millennial è un’etichetta, più che un’identità. E nel non riconoscermi come tale, non sono l’eccezione ma la regola: la maggior parte di coloro che rientrano nella categoria non si identifica in quanto Millennial. Al contrario, i più della Generazione X (35-50enni) o dei Baby Boomers (50-70enni) accettano e usano il marchio generazionale come strumento di riconoscimento. Perché? Un’ipotesi è che i Boomers, ad esempio, appartengano ad un periodo in cui l’aspirazione e la narrativa collettive erano chiare e condivise: la responsabilità di sostenere ed espandere la prosperità nel dopoguerra (e approfittarne). Millennial, invece, abbraccia due estremi generazionali che spesso condividono poche esperienze esistenziali. Non a caso i Millennial più adulti tendono ad identificarsi con la generazione precedente.

generazioniQuindi, come essere “più Millennial” di qualcuno se il termine stesso non sa definire coloro che descrive? In realtà, i comuni denominatori esistono. Prima di tutto l’individualismo.
La grande maggioranza dei Millennial si definisce “individualista” se non “egocentrico”. Non a caso, dati Istat mostrano che solo due 20-24enni su 10 ritengono il prossimo degno di fiducia, e il 73,8% si dichiara molto diffidente. Questi tratti si riflettono nel più generale rifiuto ad identificarsi con un gruppo: il Millennial medio si presenta difficilmente come “un ambientalista”, seppur impegnato in tali attività; piuttosto, si dichiara environmentally friendly indipendentemente da una categoria.

La difficoltà della maggior parte dei Millennial a delimitare la propria identità si proietta nel mondo del lavoro, in cui flessibilità e autonomia  sono i nuovi valori chiave. Negli Stati Uniti – dove i Millennial sono già la generazione più numerosa – i lavoratori tra i 25 e i 34 anni cambiano lavoro più o meno ogni 3 anni: tre volte più frequentemente dei cinquantenni. A questo ritmo, un individuo potrebbe avere una dozzina di lavori e professioni diverse nel corso di una sola vita. Il fenomeno non è semplicemente il risultato delle trasformazioni nel mercato del lavoro, ma una scelta consapevole dei Millennial. Il rovescio della medaglia è che questa vita in transizione può aumentare il “rischio di povertà”: in Italia, il 28,6% dei giovani che vivono soli è esposto a tale pericolo contro il 19,4% del totale dei residenti. Le conseguenze sono il ritardo nella costruzione di una famiglia, ad esempio, ma anche un carico sulle finanze pubbliche e private. Tuttavia, le difficoltà economiche non impediscono ai Millennial di essere soddisfatti della propria vita, perché preferenze e valori sono cambiati: autonomia e flessibilità contano più della sicurezza sul lavoro. Ma il costo potrebbe essere tanto personale quanto sociale.

Se l’individualismo è il tratto più comune di quella che sembra assomigliare a una
non-generazione, il paradosso è che nessuno è mai stato più connesso dei Millennial. Il loro habitat naturale è digitale. O meglio, per loro la distinzione tra vita on- e offline è estinta: trascorrono il 70% del tempo online. Questo significa accesso ad una comunità senza frontiere così come la formazione di una coscienza globale: connessi istantaneamente ed esposti virtualmente ad ogni luogo e questione attraverso social network e notizie in tempo reale, sono più consapevoli delle sfide collettive delle generazioni precedenti – dal cambiamento climatico all’eguaglianza di diritti. Ma, di norma, i Millennial sono meno patriottici, non hanno forte affiliazione partitica e non partecipano attivamente alla vita politica o alle realtà locali. Forse per questo i 18-35enni hanno la propensione ad autoritrarsi in modo negativo: “sprecone” e “avido” sono tra gli aggettivi più condivisi per descriversi in quanto Millennial e descrivere la categoria. Dunque, essere connessi non vuol dire necessariamente appartenere, e la maggiore consapevolezza non sfocia automaticamente in azioni e presa di responsabilità.

“Millennial chi?” I’idea di Millennial, in fondo, cerca di catturare una non-generazione: indipendenti ma iper-connessi, cinici ma idealisti, individualisti ma consapevoli delle responsabilità collettive. A molti, l’indefinitezza e l’indipendenza di questa generazione – della mia generazione – sembreranno un paradosso. Probabilmente lo sono. Ma, come dice la poetessa americana Rebecca Solnit, è nell’incertezza – e grazie ad essa – che si aprono “prospettive ampie e possibilità specifiche” per forgiare il domani, da soli, in pochi, o insieme a milioni di altri. Il fatto è: la palla del futuro è già in mano ai Millennial. Stabilire se sarà gioco di squadra o un a solo, sta a loro – noi.