La resurrezione delle donne deve per forza passare dalla distruzione degli uomini?

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Occhi puntati sulle donne: stanno cambiando, sono cambiate, sapranno cambiare? E che ne sarà di quel che sono state, soprattutto se si tratta di caratteristiche chiave per la sopravvivenza della specie, come la maternità? Tutta questa attenzione ci fa sentire a volte “come un gatto in tangenziale”: restiamo immobili per non fare una brutta fine sotto i riflettori. Le ricerche dicono che non sta funzionando: di questo passo la parità arriverà (forse) tra 202 anni. Il futuro sarà forse donna, ma resterà futuro ancora molto a lungo.

Se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo che sulla scena c’è un altro attore: l’uomo. Che lo si consideri un convitato di pietra oppure il classifico elefante nella stanza – così ingombrante da essere invisibile – forse è (anche) lì che bisogna guardare per cambiare le carte in tavola. Per cambiare gioco. Qualcuno ci sta provando, e questa settimana è uscita una nuova pubblicità della Gillette, marchio della Procter and Gamble, che sembra aver toccato nervi molto sensibili. Gillette ha fatto un’operazione – geniale? folle? coraggiosa? furba? – di autocritica, riproponendo il tema del suo spot più famoso (“Gillette, il meglio di un uomo”) in chiave autocritica: “E’ questo il meglio di un uomo?”.

Ha preso quindi alcuni dei simboli di mascolinità più stereotipati – quelli che la propria e molte altre pubblicità cavalcano da decenni – e ne ha rivelato l’aspetto “tossico”: l’uomo è forte perché “mena le mani”, perché vince sempre, perché ha come accessorio le donne più belle? Accompagnata da una struggente musica di sottofondo, Gillette sfida se stessa e i propri clienti a guardare oltre e a farsi delle domande: è tutto qui? Niente di più, niente di meglio? Non sarà che stiamo dando gli esempi sbagliati ai nostri figli, non sarà che dobbiamo avere il coraggio di fare e dire cose diverse e cambiare veramente, nel profondo, per “sfidarci a essere il meglio di noi stessi”?

Bam! In tre giorni il video è stato visto 17 milioni di volte. Primo risultato – la cosiddetta awareness – raggiunto. Ma ha anche registrato, insieme a 400.000 like, oltre 800.000 dislike. E in circa 250.000 commenti, gli (ormai ex) clienti di Gillette stanno manifestando rumorosamente il proprio disappunto. Non ci stanno proprio, a essere messi in discussione da chi dovrebbe solo fargli la barba. E la difesa è scattata su ogni fronte:

  • L’ex cliente che fa dell’ironia: Hai proprio ragione Gillette: non merito i tuoi rasoi. Passerò a quelli della concorrenza.
  • L’ex cliente con la vision di business: Una società che dà addosso alla propria clientela? Hmm: congratulazioni per aver saputo distruggere il vosto business in 1 minuto e 49 secondi.
  • La mamma furiosa: Che cosa c’entra questo col radersi!!! Limitatevi a vendere i vostri maledetti rasoi e lasciate in pace i miei ragazzi!!!
  • L’ex cliente intellettuale: Non intendo chiedere scusa perchè sono un uomo, così come non mi aspetto che i neri si scusino perché le gang ammazzano persone innocenti o i musulmani si scusino per i terroristi.
  • L’ex cliente filosofo: Adesso diamoci tutti una calmata e vediamo se fanno anche una pubblicità contro il femminismo tossico.

“Mi deprime” c’è scritto in uno dei commenti “pensare che le donne mi vedano così. Che il mio contributo non valga niente. Che le cose che mi rendono uomo mi rendono cattivo. Che mio figlio sia nato in una società che gli dirà che è sbagliato a causa del suo genere. Pensavo che, se le donne avessero avuto il potere, ci sarebbe stata meno ingiustizia nel mondo. Ora vedo che non sono migliori degli uomini. Tutti i gruppi umani vogliono solo dominare. Tutti i gruppi umani abusano del proprio potere. Questa è la vita”.

In questa profonda trasformazione di entrambi i generi umani, in cui è letteralmente impossibile che uno dei due cambi senza coinvolgere direttamente e con forza anche l’altro, se ne guardiamo uno alla volta proprio non funziona. L’istinto ci fa sentire attaccati, e sempre l’istinto ci porta a difenderci da chi ci è diverso. Il gatto in tangenziale e l’elefante nella stanza devono per forza trovare un altro modo di venirne fuori insieme: l’alternativa – e aspetto di essere smentita – non c’è.