Lavoro, come prepararsi a quello che succederà nei prossimi 20 anni?

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Investimenti record nel 2018 per i fondi di venture capital nelle startup che operano con l’intelligenza artificiale. Un segno che non può essere ignorato sul lavoro che verrà. Se gli investitori “qualificati”, vale a dire quelli con un po’ di esperienza e che studiano il mercato, hanno deciso di investire 9,3 miliardi di dollari in aziende innovative che puntano sull’intelligenza artificiale, qualcosa vorrà dire. Senza contare, poi, che gli investimenti delle aziende in robot hanno visto un nuovo record nel corso dello scorso anno. L’industria 4.0, quindi, è già qui come continuano a ripeterci gli esperti di lavoro. E sono già qui anche gli impieghi del futuro. Eppure qualcosa cambierà nei prossimi 20 anni.

Quelli che temevano che i robots ci avrebbero fatto licenziare tutti, avranno certamente tirato un sospiro di sollievo di fronte ai dati diffusi a fine dicembre sulla disoccupazione a livello globale, scesa al 5,2% dall’8% del 2010. Il livello più basso degli ultimi 40 anni, secondo uno studio di Ubs. Certo, anche in questo caso, bisogna andare a vedere i singoli spaccati per farsi un’idea: la situazione in Italia, ad esempio, mostra come la disoccupazione si più alta di 2 punti percentuali rispetto al periodo pre-crisi. Senza contare poi che a livello globale, comunque, la povertà sta aumentando. Un quadro, quindi, a doppia lettura, a seconda da dove lo si guardi. Ma è bastato il dato generale per far concludere a tanti esperti che innovazione tecnologica e crescita occupazionale possono convivere.

D’altra parte i ricercatori della Oxford University, avevano sottolineato che se è vero che il 47 per cento dei lavoratori in America dovrà comunque fare i conti con i robot nel prossimo ventennio, è altrettanto vero che per il 53 per cento il confronto è rimandato a data da destinarsi, e forse non ci sarà mai. In particolare per una serie di professioni che sembrano difficilmente sostituibili, anche con un prepotente ingresso dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro.

Stephane Kasriel, ceo di Upwork, a fronte di questo quadro, elenca 5 deduzioni su questa nuova rivoluzione industriale 4.0:

  1. L’intelligenza artificiale e i robot creeranno alla fine più lavoro, non meno.
  2. Non ci sarà una carenza di lavoro, ma, se non faremo i giusti passi, ci sarà una mancanza di competenze adeguate ai nuovi lavori.
  3. Il lavoro a distanza diventa la norma, quindi c’è da attendersi che le città entreranno in guerra per conquistare i talenti del futuro. Il lavoro indipendente dal luogo offrirà alle persone una nuova libertà geografica di poter vivere dove vogliono, e le città e le regioni metropolitane competeranno per attirare questa “nuova forza lavoro mobile”.
  4. Entro il 2027 la maggior parte della forza lavoro sarà rappresentata da freelance, se si dà credito ai tassi di crescita del settore sottolineati da Freelancing in America 2017. Anche se, secondo i dati del World Economic Forum, ad oggi solo una percentuale fra il 20 e il 30% negli Stati Uniti e in Europa (Eu15) ha un lavoro indipendente.
  5. I cambiamenti do6uvti alla tecnologia andranno ad aumentare, così diventerà una necessità continuare a imparare nuove competenze, per tutta la nostra vita.

robotPartendo da qui il ceo di Upwork suggerisce delel vie che le società dovrebbero seguire per assicurare un mondo del lavoro più equo e sostenibile nel prossimo futuro. E neanche a dirlo il primo passo è rappresentato dal ripensare il mondo della scuola. E come dargli torto. Basta dare un occhio ai dati italiani sul missmatch tra aziende che cercano competenze e competenze offerte dal mercato. Tra il 2018 e il 2023 in Italia nei settori chiave della meccanica, della chimica, del tessile, dell’alimentare e dell’Ict le imprese avranno bisogno di qualcosa come 272mila addetti con oltre il 60% di periti e laureati tecnico-scientifici, aveva annunciato Confindustria in un dossier realizzato con Unioncamere. Il dubbio? Che la scuola fosse in grado di “produrre” sufficienti candidati a coprire questo fabbisogno. D’altra parte è noto che ogni anno mancano all’appello qualche centinaio di migliaio di addetti in Italia. In Gran Bretagna, ad esempio, sono già corsi ai ripari in vista di Brexit e il governo di Theresa May ha già stanziato da tempo i fondi per potenziare gli istituti tecnici e creare scuole di matematica in tutte le maggiori città del Paese. Certo, poi resta l‘incognita dei ragazzi, che continuano a scegliere il corso di studio senza fare valutazioni sulla domanda del mondo del lavoro che dovrà accoglierli.

Ma se il lavoro cambia velocemente, non è sufficiente un assestamento del mondo dell’istruizione, Sarà necessario un cambio di struttura, in modo da poter essere più flessibili e veloci per stare dietro alle esigenze del mercato.

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Non solo. Secondo diversi nel prossimo futuro non sarà più tanto importante tanto il titolo di studio in sé, quanto invece le competenze che ogni candiato sarà in grado di mettere sul tavolo al momento del colloquio e dell’eventuale prova. E soprattutto quelle che saprà formarsi poi negli anni a venire. Perché un dato cambia le prospettive future: i giovani in media, secondo alcune stime, cambieranno lavoro all’incirca ogni 4,2 anni. Gioco forza che sarà necessaria una formazione permanente per rimanere al passo con l’evoluzione del sistema.

Cambiare la scuola, non sarà sufficiente. Sarà necessario un impegno di governi e imprese per ripensare il sistema del lavoro nella direzione sì di una maggiore flessibilità, purché in un quadro di garanzie e di generazione di occupazione.