Natale, brevi considerazioni sul “gesto del dono”

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“Donare” crea relazioni e permette di trasformare quelle già esistenti: mai come in questo periodo dell’anno, al di là del legame con la tradizione religiosa che, in Occidente, ci  invita a celebrare con gioia la nascita di Gesù attraverso i regali, è più che mai evidente l’impatto sociale del gesto.

Ma possiamo davvero parlare di spontaneità del dono?

L’autore che nel secolo scorso ha contribuito maggiormente a approfondire questo argomento è stato Marcel Mauss, antropologo e sociologo, secondo il quale il meccanismo del dono si articola in tre momenti fondamentali, basati sul principio della reciprocità:

  1. dare;
  2. ricevere – l’oggetto deve essere accettato;
  3. ricambiare.

Pubblicati  negli anni ’20, quelli di Mauss  sono studi ancora attualissimi e, benché basati prevalentemente sull’osservazione di tribù primitive, ci portano a fare alcune considerazioni forse utili mentre, in queste giornate di ricerche affannate, con le braccia cariche di pacchetti, corriamo forsennatamente dentro e fuori dai negozi..

box-close-up-gift-842876La prima osservazione riguarda il valore che diamo alle cose. Un tempo le cose si credevano possedute da un’anima (animismo) e dotate di una forza magica che le legava al donatore e ne incorporava l’identità, per cui donare un oggetto significava esercitare un’influenza sulla persona (che donava o che riceveva).

Nel suo Saggio sul dono (1923) Mauss dimostra che nelle società primitive (ma anche nelle società antiche come quella romana) le cose, “le res”, avevano un valore molto alto, una grandissima importanza,  persino maggiore di quella che gli oggetti possiedono nel mondo contemporaneo. Ebbene, possiamo tranquillamente affermare che un qualcosa di questa magia, di questa forza intrinseca delle cose è giunta sino alla nostra epoca. Ancora oggi infatti si dona per mostrare qualcosa di noi: i nostri sentimenti, il nostro “esserci”, oppure  il nostro potere o la nostra ricchezza… come se il nostro dono potesse continuare a parlare di noi anche in assenza.

E, dal punto di vista della comunicazione efficace,  è interessante riflettere sulla sottile lotta interiore che si crea tra il desiderio di fare un regalo che riesca ad esprimere i nostri gusti, le preferenze, le nostre emozioni (donando davvero “qualcosa di noi” all’Altro, per “farci ricordare”) e quello di trovare un dono che sia realmente adatto al destinatario (obbligandoci quindi a farci un pò “da parte” per andare incontro all’Altro e alla sua personalità). E’, in fondo, un gioco di equilibrio:  “fare un presente” per essere presenti ma anche per “rendere presente” l’altro.

La scelta di un dono non è quindi così “libera” come verrebbe spontaneo affermare di primo acchito.

gift2E non vi è neppure  piena libertà nel ricevere.

Questo deriva da una antichissima consuetudine: nelle società primitive non accettare il dono portava alla scomunica, al disonore, si rompevano vincoli di parentela, di amicizia, di alleanza. Rifiutare un dono o disprezzarlo ancora oggi si rivela essere molto offensivo: evidentemente qualcosa di quelle tribù primitive e di quella modalità relazionale ci è rimasto. E questo spiega anche il motivo per cui, oggi, la moda di riciclare i doni non graditi sta facendo numerosissime vittime: ai tempi dei social è infatti poco probabile che il dono riciclato prima o poi non faccia capolino qua e là, in qualche foto, in altre case o situazioni, rischiando, se scoperto, di incrinare i rapporti.  Irrimediabilmente.

Infine, un’altra considerazione.

Seppure non vi siano costrizioni o obblighi, moralmente il gesto del donare invita a “ricambiare”, cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto. Ed ecco il motivo per cui nel Codice di comportamento per i dipendenti pubblici ( che comprende gli insegnanti e che è entrato in vigore il 19 giugno 2013) si prevede – pena importanti sanzioni – “il divieto per il dipendente di chiedere regali, compensi o altre utilità, nonché il divieto di accettare regali, compensi o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore (non superiore a 150 euro).

Non illudiamoci troppo, quindi. Il dono

“non è pratica libera, non è liberalità del singolo, non è disinteresse..  E’ un obbligo sociale, è un vincolo comunitario, e chi non partecipa al rito del dono, chi non è nella capacità di reperire e possedere oggetti da  immettere nel circolo del dono,  è soggetto alla esclusione dal gruppo”. (M.Mauss)

Tutte queste riflessioni, così, parrebbero spostare il tema del  dono all’interno della sola nozione di utile. E la domanda posta all’inizio di questo breve articolo sembrerebbe non trovare una risposta positiva. E quindi, possiamo ancora parlare di spontaneità del dono?

Si,  possiamo parlarne,  e quando la realizziamo ci è data “in omaggio” anche l’esperienza di una grandissima, meravigliosa sensazione di libertà.  E’ una spontaneità che spesso si  ritrova nelle pieghe, fuori dal clamore, si ritrova ogni volta che, donando, ci soffermiamo a riflettere sul senso che desideriamo dare al nostro gesto.  E’ una spontaneità che si  ritrova quando agiamo consapevolmente, quando scegliamo “cosa fare” del nostro “donare”, come viverlo e come farlo percepire, al di là di ogni utilitarismo, anche recondito, anche inconscio. La parola magica è, ancora una volta, consapevolezza. Provare per credere!  Chiediamoci: Stiamo donando per cosa? cosa vogliamo realmente ottenere? 

smileL’invito è a sperimentare, magari con il dono più facile (o più difficile, dipende): con un sorriso.

Interrogarci e ascoltarci in maniera profonda. Osservare le risposte che sottendono al nostro gesto. E se la risposta che poi ci diamo è “NIENTE, con questo gesto voglio ottenere.. NIENTE”.. saremo poi davvero in grado di “reggere” la vertigine di questo “niente”?

Se il nostro obiettivo vuole essere quello di provare a donare in maniera disinteressata, agire consapevolmente significa chiederci se l’azione che stiamo facendo è il più possibile libera da condizionamenti; significa vigilare su noi stessi per non lasciarci trascinare da meccanismi che non siano quelli di un donare senza alcun ritorno né calcolo; significa cercare il modo, quando e se è possibile, di “illuminare” il nostro dono. Ogni volta, in ogni occasione, magari anche attingendo ad altri e “più alti” valori.

Per ritrovare quella purezza che, al di là di ogni interesse,  è una scoperta che “fa bene” e “ci fa bene” davvero. Ed e’ per se stessa un dono.