La Lombardia fa scuola sui distretti culturali

La domanda se l’arte e la cultura possono costituire un vero fattore di sviluppo economico non è certo nuova in un Paese seduto sopra un patrimonio di inestimabile valore, di cui troppo a lungo non ha saputo che farsene. La risposta più onesta, tuttavia, al termine dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, non è un insindacabile sì, ma piuttosto un sì a determinate condizioni. Ma quali?

A rispondere sono i risultati dei dieci anni di sperimentazione del progetto Distretti Culturali, condotto da Fondazione Cariplo in co-creazione con la Regione Lombardia, le istituzioni e le organizzazioni territoriali, che si festeggiano proprio in questi giorni. Un’esperienza unica nel suo genere in Italia: 6 aree selezionate – Valtellina, Val Camonica, Oltrepò Mantovano, Regge dei Gonzaga, Monza e Brianza, Provincia di Cremona, a cui si aggiungere il progetto pilota dell’Isola Comacina -, uno stanziamento di 20 milioni di euro da parte di Fondazione Cariplo, per un totale di 52 milioni complessivi per circa 34 cantieri su edifici storici. Ma questa è solo la parte tangibile di un impatto ben più ampio.

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Il progetto segna, infatti, una svolta nella natura stessa della Fondazione, una delle più importanti istituzioni filantropiche al mondo, che da puro finanziatore delle attività culturali attraverso erogazioni a fondo perduto ha assunto – per la prima volta – un ruolo attivo, da autentico innovatore sociale, per individuare un nuovo modello operativo di intervento sul territorio. Era chiara ormai l’opportunità – confermata dalle migliori esperienze europee – di passare dalla logica delle grandi opere di restauro con pesanti investimenti a un approccio preventivo di monitoraggio continuo e manutenzione periodica dei beni, in funzione di un piano programmato di conservazione, che comporta tra l’altro – nel lungo periodo – un risparmio sulla spesa.

Da sinistra, Lorenza Gazzarro e Cristina Chiavarino, Area Arte e Cultura, Fondazione Cariplo

Da sinistra, Lorenza Gazzarro e Cristina Chiavarino, Area Arte e Cultura, Fondazione Cariplo

Si tratta, dunque, di una vera innovazione di processo che mira a sviluppare la progettazione culturale integrata, in cui le attività di conservazione del patrimonio culturale diventano il perno su cui costruire una solida base di capitale sociale e di integrazione di diverse filiere economiche. Il cambiamento di mindest sottostante non è banale. Una scommessa sia per la Fondazione – e in particolare per lo staff Arte e Cultura guidato da Cristina Chiavarino – che si è messa alla prova su un nuovo modello di lavoro, sia per i territori chiamati a costruire partnership pubblico-private che proponessero progetti articolati sulla base delle linee guida concordate, a gestirli e rendicontarli secondo regole comuni.

«Questo nuovo approccio ha comportato un cambiamento radicale nelle relazioni tra la Fondazione e gli enti territoriali coinvolti – spiega Chiavarino -. Non si tratta più solo di valutare la qualità dei progetti presentati a fronte dei nostri bandi, ma piuttosto di creare le condizioni affinché emergesse la migliore progettualità dalle realtà locali e di affiancare il loro lavoro, con il supporto di un comitato di esperti e di tutor, sia in fase di definizione sia di realizzazione». Non tutti i territori hanno reagito allo stesso modo. C’è chi l’ha vissuta come un’invasione di campo e un tentativo di controllo e chi, invece, era pronto a cogliere l’opportunità.

Valtellina - foto Luca Arzuffi

Valtellina – foto Luca Arzuffi

I fattori abilitanti? «Una sensibilità diffusa nei confronti del valore del patrimonio culturale ma ancora di più l’abitudine a lavorare in rete e la capacità di integrare diverse competenze, come avvenuto in Valtellina e a Cremona» racconta Lorenza Gazzerro. E’ interessante notare che il cofinanziamento dei progetti da parte dei territori non ha fatto gonfiare le spese, ma semmai ha generato un processo virtuoso di selezione delle iniziative più valide, strategiche e generative di un ampio partenariato.

Cremona - foto Luca Arzuffi

Cremona – foto Luca Arzuffi

E, poi, lo straordinario effetto sulle competenze e sul capitale sociale, nonché sulla consapevolezza dell’identità territoriale. In gioco c’è il salto di qualità verso una cultura della cura, ovvero di riconoscimento e di appropriazione dei valori da parte di una comunità coesa. «L’importante, ora – conclude Chiavarino -, è consolidare l’esperienza con l’avvio di centri erogatori di servizi in forma associata sull’esempio dei modelli europei, nei distretti di Monza e Mantova. E cercare di replicare il modello d’intervento lombardo ad altre regioni d’Italia, attraverso l’ACRI-Associazione Casse di Risparmio Italiane, a cui aderiscono ben 19 fondazioni».

Segnerebbe un grande passo avanti per il paese che detiene il record di maggior numero di patrimoni dell’umanità dell’UNESCO al mondo.