#Unimpresadadonne: la moda di Progetto Quid per rinascere a nuova vita

Allo speech del TedX di un anno fa sul Lago di Como, Anna Fiscale, ideatrice, presidente e CEO di Progetto Quid, aveva parlato in pubblico del “Fragility Factor”. Ovvero, di come trasformare un elemento di fragilità in un punto di forza, di come far prendere una nuova direzione ad un’esistenza incagliata nelle difficoltà della vita. Progetto Quid, infatti, nasce da una fase temporanea di incertezza per concretizzarsi in una realtà imprenditoriale che valorizza la fragilità umana e quella ambientale, creando empatia e sviluppando impatto, per usare le parole di Anna. Progetto Quid è un’impresa sociale che impiega persone con un vissuto di fragilità, producendo abiti e accessori a partire da tessuti che giacciono nei magazzini delle aziende, generando così una seconda possibilità per entrambi. Hanno scelto come logo una molletta per il bucato per tenere insieme tutte queste cose. Nel 2012 era un’associazione. Oggi è una realtà importante che viaggia ad un ritmo di produzione di 100mila capi d’abbigliamento e 200mila accessori all’anno. Nell’ultimo anno sono passati da 60 a 105 dipendenti, tra contratti a tempo determinato, indeterminato, tirocinio o apprendistato. Stanno per chiudere il 2018 con un fatturato di quasi 3 milioni di euro. Hanno all’attivo diverse collaborazioni come quelle con il Gruppo Calzedonia, il Gruppo Natura Sì, Vivienne Westwood.

6bf9107b-59f9-408f-8214-9e4deb568badCome è nata l’idea di Progetto Quid?

«Sono sempre stata impegnata nel sociale e nel volontariato. Da questa esperienza ho sviluppato un’attenzione particolare al tema dell’emancipazione femminile nel mio percorso di studi, guardando al microcredito in India, o l’aiuto umanitario ad Haiti. Ho studiato economia, provando a  soffermarmi maggiormente sugli aspetti e sui sistemi economici che mettessero al centro la persona più che la moneta. Poi, una mia vicenda personale che mi ha fatto riflettere sulla necessità di fare qualcosa per le donne ferite, donne fragili, con trascorsi vulnerabili. Io stessa sono uscita da una relazione che mi aveva molto ferito. È stato allora che ho capito che potevo fare qualcosa che fosse un’occasione di riscatto. Subito dopo ho creato Progetto Quid».

E’ stato facile trovare persone da coinvolgere nel progetto?

«All’inizio eravamo in 5 ed era il 2012. Quando ho presentato l’idea, è stata accolta con entusiasmo da subito perché significava fare qualcosa di nuovo nella nostra città (Verona, ndr) che soprattutto mettesse insieme ambiti così diversi come la moda, il sociale e la sostenibilità economica. La parte di start up e di progettazione ha richiesto diversi mesi e alcuni del gruppo hanno nel frattempo preferito prendere altre strade. Siamo partiti come associazione alla fine del 2012 per vedere se l’idea poteva avere un senso. Nel 2013 abbiamo costituito la cooperativa sociale di tipo b che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone con fragilità. Del team iniziale siamo rimasti in due: insieme a me che, oltre agli incarichi che rivesto, mi occupo di tutta la parte commerciale, di comunicazione e di relazioni istituzionali, c’è anche Ludovico Mantoan che è attualmente amministratore delegato e si occupa della parte amministrativa e finanziaria».

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Qual è il vostro obiettivo?

«Non è la massimizzazione del profitto, bensì dell’impatto, ovvero la capacità di creare sempre nuove opportunità di lavoro. Abbiamo costruito un modello che ribalta quello che è lo schema tipico della produzione nella moda perché noi confezioniamo capi e accessori a partire dai tessuti che siamo riusciti a reperire, mentre nelle aziende normalmente accade il contrario. Valorizziamo quei tessuti che l’industria della moda non avrebbe più utilizzato e sarebbero andati distrutti, così come valorizziamo le risorse di persone con invalidità, o che provengono da un passato di dipendenze o di carcere. La sfida a cui siamo chiamati è fare un prodotto bello e di tendenza, quanto un prodotto for profit, ma con una storia da raccontare».

Può farci qualche esempio?

«Qualche anno fa abbiamo aperto un laboratorio in carcere, perché ci interessava fare formazione nel carcere femminile di Verona. In quella sede abbiamo conosciuto una ragazza molto in gamba che, terminato il periodo di detenzione, è entrata a far parte del nostro laboratorio. È una persona molto intraprendente, è fra le responsabili della logistica. Veniva da una storia di fatica, a causa di uno sbaglio fatto in passato: pensare che oggi è passata dal carcere a essere una delle figure chiave della nostra realtà è motivo di orgoglio e soddisfazione per noi, e può fare sicuramente la differenza. Ci tengo a ricordare anche un’altra ragazza che ci è stata segnalata dai servizi sociali perché vittima di tratta e scappata dalla strada. È venuta da noi, con un tirocinio, e oggi ricopre un ruolo chiave nello smistamento del tagliato che ci arriva, che poi diventa confezionato per diventare un capo di abbigliamento. È molto bello vedere nascere questi frutti sia a livello lavorativo che personale: una di queste ragazze si è sposata e ha una sua quotidianità nella nostra città. Un volano positivo nato grazie all’inserimento in Quid».

Come vi vedete tra dieci anni?

«Tra dieci anni mi piacerebbe arrivare a 500 dipendenti, replicare il nostro modello in diverse realtà italiane che possano essere di supporto, sempre tenendo a mente il focus dell’inserimento lavorativo di persone con fragilità, e magari aprire altri laboratori in altre carceri italiane. Ci piacerebbe affermare il marchio Progetto Quid come il principale marchio di moda etica in Italia e magari anche in Europa e avere numerose collaborazioni di cobranding con realtà di moda italiane che investano nel nostro progetto. L’obiettivo è diventi di massa e che esca dal concetto della moda etica di nicchia per raggiungere il grande pubblico ed essere più mainstream, partendo dal nostro sito www.progettoquid.it e dal canale e-commerce».

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#Unimpresadadonne è il progetto che vede insieme AlleyOop e la ong Istituto Oikos per raccontare l’imprenditoria femminile sostenibile. Segnalateci le storie di imprenditrici che coniugano business, sostenibilità ambientale e inclusione sociale. Le candidature vanno inviate all’indirizzo email alleyoop@ilsole24ore.com con le seguenti informazioni (*obbligatorio)

  • Nome e cognome dell’imprenditrice*:
  • Nome dell’impresa*:
  • Sito web*:
  • Pagina facebook:
  • In che modo è un’impresa sostenibile* (max 2000 caratteri)
  • In che modo è un’impresa inclusiva (max 2000 caratteri)
  • Cosa rende speciale questa storia* (max 2000 caratteri)