Cristiana Capotondi: «Non bisogna temere l’algoritmo, le potenzialità umane sono infinite»

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«Nell’occhio del ciclone è tutto calmo. La responsabilità genera un senso di pace. Le nuove generazioni forse la associano a un concetto di pesantezza, e per questo la rifuggono. Io amo le responsabilità. In quel momento, mentre tutto intorno a te si muove, tu dentro al ciclone senti la calma, sperimenti la fiducia nelle persone che lavorano con te, tieni allertati i sensi». Cristiana Capotondi racconta così la sua esperienza da regista, che forse in pochi conoscono. Molti sono abituati a pensare a lei per le commedie in cui ha recitato dall’età di 12 anni, sempre più spesso si comincia ad associarla a ruoli più drammatici e di impegno sociale. Come Lucia Annibali o Nina di Nome di donna di Marco Tullio Giordana. Ma l’attrice, che si definisce una persona curiosa, un’osservatrice attratta dal caos e dalla complessità, ha girato due cortometraggi in cui, con uno sguardo lucido e leggero, ha trattato argomenti complessi come l’adozione. Dentro al ciclone non solo come regista: nel 2016 insieme a Cristiana Mainardi ha fondato Artistinsieme, che ha prodotto con Anteo Spazio Cinema la manifestazione culturale Fuoricinema, a Milano, per due anni consecutivi. Grazie a questa sua curiosità ha avuto quindi modo di farsi un’idea di cosa voglia dire fare impresa oggi, sia con la pratica diretta che per la ricca costellazione di startupper e innovatori che gravitano attorno alla sua quotidianità, avendo scelto come compagno di vita Andrea Pezzi, fondatore tra le altre cose di Gagoo, holding italiana che si occupa di innovazione e digitale. «L’imprenditore oggi è un eroe» afferma Cristiana. «Le difficoltà che incontra sono molto diverse da quelle che potevano esserci negli anni del boom economico, a partire dall’accesso al credito fino alla necessità di avere una visione transnazionale, mentre un tempo anche le più grandi imprese nascevano in un contesto più familiare, soprattutto qui in Italia. Nel settore del digitale ci sono poi altri fattori: ci si confronta con un competitor che è il mondo intero e molto spesso il punto d’arrivo della startup è l’acquisizione da parte dei colossi del mercato, per cui l’imprenditore si separa dalla sua idea, si rinnova nello sviluppare altre idee, altro business». Un eroe anche perché deve trovare l’audacia per affrontare queste sfide in un contesto tutt’altro che incoraggiante, che l’attrice descrive chiaramente: disoccupazione, incertezze economiche, traguardi sociali sempre più sfuggenti, il tutto avvolto in una nebulosa di comunicazione catastrofica che non lascia spazio ai sogni.

«Essere nati negli anni ‘80 per noi è un vizio di partenza, quasi un peccato originale: abbiamo creduto che il mondo fosse facile, e quando abbiamo scoperto che non era così lo abbiamo vissuto un po’ come un tradimento, la società ci è sembrata inospitale, inadatta a noi. Mi piacerebbe che potessimo gettarci alle spalle questa sensazione. La complessità e le difficoltà sono il concime per l’intelligenza, dobbiamo amarle e trasmettere alle nuove generazioni l’idea che metabolizzare e risolvere le difficoltà ci fa crescere ed evolvere in positivo». Accogliere il cambiamento senza sentirsene vittime. Di sicuro la parola vittimismo le fa storcere il naso, e non solo quando è associata alla coscienza generazionale. Soprattutto quando diventa una componente di racconto della questione femminile. Afferma che spesso anche le storie di successo di donne che hanno realizzato obiettivi importanti sono avvolte in un’aura di autocommiserazione, come se si volesse sempre mettere l’accento su quanto sia stato difficile in quanto donne raggiungere un determinato ruolo. «Bisogna cominciare a cambiare le chiavi di racconto della donna contemporanea. Guardare alla femminilità non come qualcosa da trasformare per adeguarsi ai modelli maschili sul lavoro, ma come una qualità da valorizzare. L’evoluzione della donna riguarda le battaglie quotidiane che con grazia e semplicità ognuna di noi affronta. Raccontare questa evoluzione ha a che fare con un processo culturale fondamentale fin dai primissimi mesi di vita, perchè i maschi sono figli di donne. Solo impegnandoci in questo senso potremo riaprire un tavolo di comunicazione, collaborazione e scambio con il genere maschile».

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L’intervista completa è contenuta nell’ebook “Donne di futuro – Generazioni a confronto sul lavoro di domani”, scaricabile gratuitamente cliccando sulla copertina qui di seguito.

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