Tablet e smartphone ai bambini, cosa rischiamo?

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Quanti di noi si rivolgono ai pediatri per avere consigli? Meno di quanti pensiamo. Solo 3 su dieci genitori si rivolge al medico dei bambini. Un’occasione persa, considerato che su tanti temi possono essere degli utili alleati nella crescita dei nostri figli. Come nel caso, ad esempio, dell’uso di tablet e smartphone da parte dei nostri pargoli. A riguardo la Società Italiana di Pediatria si è espressa con un documento ufficiale sull’uso dei media device (cellulare, smartphone, tablet, pc ecc.)  per i bambini da 0 a 8 anni di età. Il documento non è affatto a senso unico: sono stati presi in esame sia gli effetti positivi sia quelli negativi sulla salute fisica e mentale dei bambini per stabilire l’età più appropriata per “l’esposizione ai media device”. Non solo. Si è anche andati a vedere quali siano le corrette modalità per una fruizione “sana”.

Le Raccomandazioni sono le risposte ai dubbi di mamme e papà: quando si può dare un tablet ai propri figli? Per quanto tempo? Che effetti può avere in età precoce? La Società Italiana di Pediatria risponde con puntualità: no a smartphone e tablet prima dei due anni. E fin qui la maggior parte dei genitori si trova d’accordo. Si hanno i primi tentennamenti sulla seconda raccomandazione: no agli schermi durante i pasti e prima di andare a dormire. E poi porre dei limiti: massimo 1 ora al giorno nei bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni e al massimo 2 ore al giorno per quelli di età compresa tra i 5 e gli 8 anni. Il documento dei pediatri sconsiglia inoltre programmi con contenuti violenti e soprattutto l’uso di telefonini e tablet per calmare o distrarre i bambini. No al cellulare “pacificatore”, quindi. Sì, invece, all’utilizzo di applicazioni di qualità da usare insieme ai genitori. Sottolineando però che le interazioni volontarie tra bambino e genitore rimangono sempre la migliore strategia per una crescita sana.

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Alberto Villani

Nessuna criminalizzazione delle tecnologie digitali, anzi alcune applicazioni hanno mostrato di avere un impatto positivo sull’apprendimento in età prescolare, purché usate insieme ai genitori. Ma come pediatri che hanno a cuore la salute psicofisica dei bambini non possiamo trascurare i rischi documentati di un’esposizione precoce e prolungata a smartphone e tablet”, spiega il presidente della Società Italiana di Pediatria Alberto Villani. Ma quali sono i fattori che entrano in gioco nell’analisi dei pediatri? Dallo sviluppo neuro-cognitivo alle funzioni metaboliche, dalle relazioni genitori-figli al lo sviluppo emotivo in età evolutiva. L’analisi raccontata in base agli studi recenti riportati evidenzia, però, anche e soprattutto rischi di carattere fisico e pratico: sonno, vista e udito sono a rischio. L’uso dei dispositivi multimediali può interferire con la qualità del sonno attraverso le sollecitazioni causate sia da alcuni contenuti stimolanti sia dall’esposizione alla luce dello schermo. Uno studio recente sottolinea come i bambini di età compresa tra 1 e 4 anni che hanno la televisione in camera abbiano una peggiore qualità del sonno, più paura del buio, incubi e dialoghi nel sonno.

L’esposizione a tablet e smartphone può interferire anche con la vista. L’uso continuo dello smartphone può causare il disturbo di secchezza oculare. Pertanto, il bambino può avvertire una sensazione di corpo estraneo nell’occhio e/o bruciore oculare, una sintomatologia del tutto sovrapponibile a quella dell’occhio secco. Per di più gli smartphone sono utilizzati ad una distanza ravvicinata a causa del loro piccolo schermo led, inducendo quindi fatica oculare, abbagliamento e irritazione. La precoce e prolungata esposizione a intensi livelli di rumore senza periodi di interruzione per le orecchie può portare a una alterata percezione dei suoni, con possibili interferenze nello sviluppo del linguaggio, nella socializzazione, nella comunicazione e nell’interazione con gli altri bambini.

La migliore risposa ai dubbi dei genitori? Ricordare che nessun media device è in grado di sostituirsi alle abilità linguistiche, cognitive e socio-emozionali che un genitore può trasferire al proprio figlio. Un’indicazione banale, che però a volte rischiamo di dimenticare nella nostra affollata quotidianità.

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