Femminicidi: dal Governo “continuità al piano antiviolenza di Boschi e impegno su risorse”

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Giovanna S. (il nome è di fantasia) ha subito per anni la violenza del marito. Dopo un lungo iter burocratico e giudiziario partito dalle sue denunce, l’uomo è stato di recente condannato da un tribunale italiano a tre anni e sette mesi di reclusione. Alla lettura della sentenza erano presenti le figlie, che hanno sostenuto la madre e si erano costituite parte civile. Lei, Giovanna, non ce l’ha fatta ad arrivare alla sentenza: è morta, mentre il processo era in corso, di cancro.

La storia di Giovanna è una delle tante che vengono raccolte e seguite dai centri antiviolenza. Una delle storie di violenza contro le donne in un Paese che ancora conta un femminicidio ogni due giorni. Ed è una storia, ci racconta Lella Palladino, presidente della Rete D.i.Re– Donne in rete contro la violenza, che dimostra come “i processi abbiano tempi troppo lunghi e troppo spesso le donne non si sentano risarcite del danno subito nella maniera giusta. Il Csm ha fatto arrivare alle Procure le linee guida a proposito di violenza, ma la magistratura non è ancora abbastanza formata. Non è la parte tecnica che manca, ci vorrebbe una formazione di carattere politico e culturale. Non ci stanchiamo mai di segnalare che spesso l’unico reato sul quale si indaga è la vita della vittima”. Inoltre “dopo che la donna ha trovato il coraggio di denunciare, si apre per lei il periodo più pericoloso: o riesce ad andare in una casa rifugio oppure è più esposta di prima alla violenza del partner. E’ raro che ci sia un arresto in flagranza”. In generale i centri antiviolenza sottolineano le carenze e le criticità nel contrasto a un fenomeno grave come la violenza maschile contro le donne. Carenze che vanno dalla prevenzione alla protezione della vittima alla punizione del colpevole. E questo nonostante, a novembre scorso, sia stato approvato il piano strategico triennale, voluto dall’allora sottosegretaria Maria Elena Boschi, che punta a un contrasto strutturale al fenomeno, in linea con la Convenzione di Istanbul. Un piano su cui il nuovo Governo assicura continuità; un progetto che, afferma il nuovo capo del Dipartimento per le Pari Opportunità, Alessandra Ponari nella sua prima intervista dopo l’insediamento avvenuto ad agosto, “non abbiamo intenzione di smantellare, ma al quale dobbiamo dare ora concretezza”.

ENTRO IL MESE LA NUOVA CABINA DI REGIA 

La piaga della violenza, a cui il piano strutturale 2017-2020 messo a punto a novembre scorso prova a dare delle risposte, è ancora lungi dall’essere curata. Dal via libera al progetto è passato quasi un anno che ha visto l’avvicendamento di un nuovo esecutivo con un’inevitabile fase di stallo durante il passaggio di testimone concluso con la nomina di un nuovo sottosegretario, Vincenzo Spadafora, al posto di Maria Elena Boschi. Mesi in cui il lavoro delle amministrazioni e degli enti coinvolti è comunque andato avanti secondo le direttive del progetto, fondato sui tre pilastri della prevenzione (attraverso la formazione e l’istruzione), della protezione delle vittime e della punizione dei colpevoli. Il piano è affiancato anche dalla previsione di rilevazioni puntuali del fenomeno, finora mancanti, grazie agli accordi con l’Istat e dalla realizzazione della mappatura ufficiale dei centri antiviolenza ad opera del Cnr che ha anche il compito di monitorare i passi avanti nella lotta al fenomeno. A breve su questo fronte si avranno dati precisi. Il piano, racconta Alessandra Ponari a Alley Oop, “va calato nella realtà, reso concreto, monitorato, corretto nel tempo, eventualmente operando dei cambiamenti. Serve un grande e lungo lavoro che tocca a questo Dipartimento promuovere, ma con l’apporto importante di tutte le amministrazioni coinvolte e le associazioni. Dobbiamo lavorare assieme per trovare la strada più giusta da percorrere. E’ un  obiettivo sfidante, ma anche entusiasmante”.

Certo, per cambiare la mentalità patriarcale e maschilista che, è ormai riconosciuto, è l’humus che facilita la nascita della violenza, ci vuole tempo e pazienza. “Al di là delle azioni concrete che si mettono campo, il problema – spiega Ponari – è strutturale, è alla base, e ci vuole tempo per cambiare la mentalità. Possiamo confidare nelle nuove generazioni facendo un investimento per il futuro”. L’arrivo del nuovo governo ha comportato anche il rinnovo della cabina di regia ministeriale che si occupa della violenza maschile contro le donne. “Entro la fine del mese – annuncia – ripartirà la cabina di regia, un passaggio necessario. Dobbiamo trovare modalità che consentano a tutti di dare il proprio contributo con obiettivi certi e tempi certi”. Nel contrasto alla violenza, incalzano le associazioni,  nonostante un piano condiviso, permangono criticità a livello di prevenzione, protezione delle vittime e punizione dei colpevoli. “Ci sembra positiva – afferma Palladino – la volontà di andare in continuità e dare attuazione al piano, ma ovviamente al momento siamo alle dichiarazioni di intenti, si stanno muovendo i primi passi. L’impressione a livello nazionale è negativa e continua a peggiore, la quotidianità ci mostra il quadro di un paese che non riesce a tutelare le donne e dare concretezza a quello che dice di voler fare”.

D.I.RE: “I CENTRI CONTINUANO A CHIUDERE, CAMBIAMO LA LEGGE”

C’è poi il nodo, sostanziale, delle risorse necessarie a implementare il piano antiviolenza. Dopo i rilievi critici della Corte dei Conti, lo scorso Governo ha introdotto una serie di paletti che hanno come obiettivo il controllo dei finanziamenti e le modalità di impiego. Il dipartimento per le Pari opportunità, cioè, trasferisce alle regioni i fondi, solo dopo aver ricevuto la richiesta con una scheda programmatica contenente gli obiettivi e un piano finanziario coerente. Dopo la comunicazione di avvenuta presa d’atto da parte del dipartimento, le regioni trasmettono al dipartimento stesso, non appena adottati, copia dei provvedimenti di programmazione delle risorse. In più le regioni devono trasmettere una relazione di monitoraggio a cadenza semestrale. Tuttavia, anche su questo fronte Lella Palladino sottolinea criticità: “Per l’ennesima volta – denuncia la presidente – i fondi nazionali previsti dalla legge 119 sono arrivati alle regioni, ma spesso non sono stati utilizzati per i centri antiviolenza ma sono andati ad azioni a titolarità pubblica di cui non riscontriamo l’efficacia. Inoltre per avere i fondi ci sono tempi variabili, in Emilia e Toscana i centri antiviolenza hanno ricevuti i finanziamenti, non così nelle altre regioni”. Palladino torna inoltre a chiedere un cambiamento nella legge 119 che destina il 33% delle risorse a nuovi centri antiviolenza. “Intanto molti centri continuano a chiudere anche se ne stanno nascendo nuovi. Non abbiamo bisogno di nuovi centri, dobbiamo sostenere quelli che già ci sono. Quella legge va cambiata”. Problematiche, quelle sollevate dalla Palladino, condivise dal nuovo governo.   “Premesso che per modificare una legge c’è un iter da seguire,  da parte nostra c’è disponibilità – risponde Alessandra Ponari – a valutare le richieste di modifica della legge 119, incluse quelle che riguardano e il meccanismo di riparto che coinvolge le regioni”.

“IMPEGNO A REPERIRE IN SEDE DI LEGGE DI BILANCIO LE RISORSE NECESSARIE”

L’ultima Finanziaria ha previsto 35,4 milioni per la lotta alla violenza. I soldi sono stati destinati in parte ai centri antiviolenza, in parte al piano. E’ previsto anche un meccanismo di finanziamenti aggiuntivi da parte delle varie amministrazioni coinvolte. Il problema delle risorse destinate all’attuazione del piano antiviolenza è sentito anche dall’attuale esecutivo. “Ci impegneremo – annuncia Alessandra Ponari – a mettere in campo tutte le azioni previste dal piano, nonché a reperire, anche in sede di legge di bilancio, le risorse necessarie a sostenere le politiche di prevenzione e contrasto alla violenza maschile contro le donne”.

LA PREVENZIONE COME FONDAMENTO DELLA LOTTA

Per il cambiamento culturale necessario alla sconfitta della violenza di genere, gli sforzi saranno concentrati sulla prevenzione. “Su questo fronte  si devono mettere in campo – prosegue Alessandra Ponari – molte azioni trasversali e strutturate per valorizzare ulteriormente la formazione delle forze dell’ordine e della magistratura e più in generale di tutti gli operatori coinvolti. Inoltre è necessario impegnarsi con interventi di sensibilizzazione per favorire un profondo cambiamento culturale nel Paese sul tema della violenza contro le donne”. Secondo Palladino, i progetti sulla prevenzione “ci sono, staremo a vedere, ma una cosa tengo a sottolineare: c’è una grande schizofrenia nel Paese, da una parte c’è un buon impianto normativo, dall’altra, iniziative come il ddl Pillon che rappresenta un forte attacco alle donne”. E conclude con un appello: la priorità “è quella di formare gli operatori della giustizia, le forze dell’ordine. Occorre maggiore capacità di riconoscere il problema della violenza connesso alla discriminazione delle donne.  Il Paese deve riconoscere questo e smettere di gridare indignazione contro la violenza senza fare nulla che veramente la contrasti”.

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L’ebook a cura di Alley Oop #HoDettoNo – Come fermare la violenza contro le donne, uscito nel novembre scorso e scaricabile gratuitamente sul sito del Sole 24 Ore, descrive nel dettaglio le proposte del Governo contenute nel piano e lo stato di fatto di risorse e finanziamenti. Nel testo, inoltre, il confronto con gli altri Paesi, le storie di donne che sono riuscite a reagire e gli strumenti da implementare per la lotta contro la violenza sulle donne.

copertina

  • Amedeo Paolucci |

    L’italia è uno dei paesi al Mondo più sicuro per le donne. Secondo i dati ONU meglio di noi, fra i grandi paesi solo il Giappone, l’Irlanda e la Grecia. I centri antiviolenza al femminile sono inutili e contribuiscono a diffondere l’odio di genere. Vanno senz’altro chiusi.
    Non si capisce cosa c’entri il DDL 735 (Pillon) con la violenza di genere né tanto meno si comprende perché mai la revisione dell’affido condiviso, in termini di un necessario e tanto atteso riequilibrio delle responsabilità genitoriali, mantenimento diretto e tempi paritari sia contro le donne.
    Tutta la normativa antiviolenza non viene toccata dal DDL. L’assegno al coniuge più debole resta intatto.
    Davvero incomprensibile…

  • maria giovanna |

    Il Centro Antiviolenza Ippogrifo lavora con e per le donne ormai da tanti anni. Superare la violenza maschile contro le donne prevede un percorso che è soprattutto culturale e che riguarda per l’appunto il comportamento di molti uomini

  • FABRIZIO |

    IO SONO AL FIANCO DELLE DONNE, LE AMO E LE VOGLIO PROTEGGERE AL MASSIMO, SONO PADRE DI UNA BELLISSIMA BIMBA.
    mA CHI INTENDE LA LEGGE PILLON CONTRO LE DONNE, è UN VERO IGNORANTE………L’ATTUALE LEGGE PARLA DI UGUAGLIANZA GENITORIALE, IN REALTà QUESTA UGUAGLIANZA NON ESISTE, MA SOLO UNA DISCRIMINAZIONE MASCHILISTA.
    TANTI UOMINI SI SONO MESSI A FIANCO DELLE DONNE PER LA LORO PARITà, DAL VOTO AL LAVORO……….ADESSO SAREBBE IL CASO CHE RESTITUISSERO E RICONOSCESSERO LA PARITà GENITORIALE, E CHE AIUTASSERO UOMINI PADRE NELLA LORO VITA, E NON SOLO ESSERE TRATTATI DA BANCOMAT.
    CHI NON ACCETTA LA LEGGE Pillon, non ha mai subito l’ ingiustizia giudiziaria di un processo di separazione, perdendo figli, casa e diventando un solo bancomat……….PILLON, SEI TUTTI NOI, NON FERMARTI DAVANTI A QUESTI FALSI MORALISTI.

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