Salari, come funziona il software-spia per scoprire la discriminazione

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Prof, ha visto che la Francia obbligherà le aziende ad inserire nei sistemi informatici un software-spia per scoprire se le donne sono discriminate nella retribuzione? Va bene se lo metto nella tesi, auspicando che venga introdotto anche da noi?

 

Sì, se vuole può metterlo nella tesi, ma deve scrivere “per scoprire se esistano differenze di genere nella retribuzione” invece di “per scoprire se le donne siano discriminate nella retribuzione”.

 

E’ diverso?

 

Sì, é ben diverso. Non credo che il software francese abbia l’ambizione di scoprire la discriminazione, e, se mai l’avesse, non credo che possa riuscire nell’intento. Credo invece che la rilevazione dei dati possa essere molto utile per evidenziare le differenze di genere nella retribuzione. In ogni caso, prima di auspicare, lei dovrebbe indicare in cosa il provvedimento francese supera quello italiano, che è in vigore fin dal secolo scorso (l. 125/1991) e che, da giugno, è disponibile in versione aggiornata e in forma elettronica anche nel nostro paese.

Il D.M. 3 maggio 2018 sostituisce le precedenti modalità di presentazione del Rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile con un software applicativo reso disponibile alle aziende con più di 100 dipendenti sul sito del Ministero del Lavoro, unitamente alla Guida operativa per la compilazione.

La nuova procedura consente una prima verifica formale della correttezza delle informazioni fornite. Ad esempio, tutti i campi Totale di riga o di colonna sono compilati automaticamente dal sistema, evitando così gli errori di imputazione e di incoerenza spesso presenti nella precedente modalità di rilevazione in formato cartaceo. I dati così raccolti saranno successivamente resi accessibili ai consiglieri e alle consigliere regionali di parità per le opportune elaborazioni.

I destinatari di queste rilevazioni incontravano in passato notevoli difficoltà a ricavare dai dati le informazioni necessarie per sviluppare le loro funzioni di controllo e di promozione delle pari opportunità, sia per l’incompletezza e l’incoerenza dei dati, sia per la scarsità di risorse dei loro uffici che impediva loro di procedere direttamente all’analisi delle informazioni coinvolgendo eventualmente competenze disciplinari specifiche. L’accesso ai dati raccolti con la nuova compilazione on line del Rapporto migliora la situazione grazie alla semplificazione del modello e della catalogazione dei risultati, rendendone meno onerosa l’elaborazione a fini conoscitivi, di monitoraggio e di ricerca.

Dal Rapporto si ricavano importanti informazioni non solo sullo stock degli occupati dipendenti per sesso e per livello, ma anche sui flussi in entrata e in uscita, sulle assunzioni e sulle promozioni, delineando così una prima rappresentazione non solo del risultato attuale delle dinamiche del passato, ma anche dei segnali di miglioramento o peggioramento che emergono dalle tendenze più recenti. Sono queste variazioni che segnalano una riduzione o un aumento della diseguaglianza accumulata nel passato. Ad esempio, è noto che le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, ma hanno attualmente la stessa probabilità degli uomini di essere promosse al vertice, o non ancora?

I dati del Rapporto, opportunamente elaborati ed interpretati, possono servire per distinguere le imprese virtuose, dal punto di vista della parità di genere, da quelle potenzialmente discriminatorie.

Prof, qui dice che in Francia un algoritmo elabora i dati raccolti ed esprime con un punteggio in ventesimi la valutazione dell’azienda: per avere la sufficienza servono almeno 15 punti su 20. Metto che questo punteggio indica il livello della discriminazione aziendale?

No

Metto che è una stima della discriminazione salariale?

No. Ciò che può emergere dalla rilevazione è solo la presenza di una differenza di genere nella retribuzione. Questa differenza è riconducibile a numerose possibili cause, tra cui anche la discriminazione. Ciascuna di queste cause rivela l’esistenza di un problema a cui è opportuno porre rimedio: ad esempio, se la differenza dipendesse dal numero di ore lavorate, si potrebbe suggerire l’adozione di politiche di flessibilità e di condivisione, in modo da ridurre il part-time della componente femminile … Similmente, se i dati rivelassero che la differenza dipende dalla maggior presenza femminile ai livelli bassi della gerarchia, si potrebbero adottare politiche di desegregazione per modificare la struttura degli incentivi e ridurre l’influenza degli stereotipi … E ancora, se il differenziale fosse correlato al diverso capitale umano (per esempio ad un diverso indirizzo di studi), le politiche di orientamento e di lotta agli stereotipi potrebbero rivelarsi efficaci nella riduzione del divario osservato tra le retribuzioni maschili e femminili. Ma è importante sottolineare che, quando il differenziale è riconducibile a qualche fattore osservabile e rilevante dal punto di vista della produttività, non siamo in presenza di discriminazione, cioè di disparità di trattamento a parità di ogni altra condizione.

Prof, ma se trovo che in una grande azienda la percentuale di donne tra i dipendenti neo-assunti è al di sotto di quella maschile, posso dire che c’è discriminazione di genere nel reclutamento? E se trovo che la percentuale di donne tra coloro che ricevono una promozione è al di sotto di quella maschile, posso dire che c’è discriminazione di genere nella carriera?

 

No. Le variabili considerate nel Rapporto sono troppo poche per rappresentare la parità di altre condizioni … la differenza potrebbe dipendere dal titolo di studio, dall’età, dall’anzianità di servizio, e così via.

E’ fuor di dubbio che la disponibilità di dati aziendali sia necessaria per analizzare le differenze di genere nelle assunzioni, nelle carriere, nelle retribuzioni e nelle uscite dei dipendenti; solo questa analisi può infatti mettere in evidenza i problemi che meritano di essere affrontati, come la divisione del lavoro di genere, la segregazione orizzontale e verticale, il condizionamento degli stereotipi, e così via, ma resta il fatto che queste informazioni non sono sufficienti per accertare la presenza o meno di forme di discriminazione. La discriminazione è la disparità di trattamento a parità di ogni altra condizione, e le differenze nelle caratteristiche produttive che possono giustificare le differenze di trattamento sono molte … solo la differenza residua, cioè quella che non trova alcuna spiegazione nelle variabili che condizionano la produttività, può essere denominata discriminazione … e sempre con cautela, perché spesso i dati di cui possiamo disporre sono troppo scarsi o troppo grezzi per consentire una fedele rappresentazione della realtà a parità di ogni altra condizione.