Perché non si parli dei nuovi schiavi del Sud Italia solo ad agosto

19c6eb5e-5586-4909-a437-04a82a099016

Non é facile parlare della propria terra, specie quando non ci sono eventi da commentare di cui andare fieri. Il rischio che si corre é di sembrare campanilistici o molto più probabilmente poco oggettivi. L’evento in questione è quello che ha inevitabilmente segnato questa estate 2018 in Capitanata, provincia settentrionale della Puglia, ovvero la morte dei braccianti agricoli avvenuta nei primi giorni di agosto, in due distinti incidenti stradali.

Stipati in vagoni sgarrupati, dopo lunghe ed estenuanti giornate di lavoro a spaccarsi sulla schiena sotto il sole per raccogliere i pomodori, tornano alle loro baracche improvvisate. Qualcuno li chiama, a ragione, i nuovi schiavi. Li vedi in giro nelle campagne del foggiano un po’ ovunque, a fare quel lavoro che nessuno più si sogna minimamente di fare. Non hanno paghe in regola, non hanno assistenza – molti, non tutti, sia chiaro – non hanno alloggi. Eppure sono lì e accettano condizioni al di sotto del minimo umano consentito.

Un mio amico su Facebook ricordava qualche giorno fa che, dalle nostre parti, la minaccia di andare a raccogliere i pomodori durante l’estate costituiva un buon deterrente per chi non studiava e non rendeva bene a scuola. Ecco, sì, i pomodori. Rossi come il sangue che ha bagnato le strade di campagna, sono uno dei simboli di questo territorio. Baciati dal sole – che sa essere talvolta implacabile da queste parti – sono belli, polposi, succosi, vividi. Se valorizzati bene, in tutta la loro filiera, potrebbero portare ricchezza e prosperità ad una provincia afflitta da uno dei più alti tassi di disoccupazione d’Italia. E In tanti ne hanno parlato, anche in clamorose inchieste giornalistiche, accendendo i riflettori su una questione tanto articolata e complessa che intercetta diverse istanze, a livello economico, imprenditoriale, politico, sociale, umano.

Vale la pena non dimenticare i morti nell’incendio dell’ex Ghetto di Rignano di qualche tempo fa, baraccopoli che ha sempre scatenato l’indignazione popolare. Una scelta obbligata, quella di stare ammassati lì, per non restare lontano dai campi che si perdono a vista d’occhio. Vale altresì la pena ricordare il lavoro dell’assessore Guglielmo Minervini, scomparso prematuramente, che aveva lanciato l’idea del “pomodoro etico”, un prodotto pulito, certificato, bello e buono.

Ora le inchieste stanno facendo il loro percorso: indagano le Procure di Larino e di Foggia. Per ricordare le vittime e dire basta al caporalato, è stata organizzata l’8 agosto scorso, la marcia dei berretti rossi, suddivisa in due distinte iniziative: la prima partita proprio dall’ex Ghetto di Rignano, nel comune di San Severo, che si è conclusa davanti alla prefettura di Foggia, la seconda che ha visto riunite sigle sindacali, associazioni di volontariato e liberi cittadini che si é svolta nel centro della città capoluogo.

E io c’ero. E forse è questo il modo migliore per raccontare la propria terra.
Al corteo ho partecipato perché sentivo che avrei dovuto esserci. Che in qualche modo avrei dovuto dire la mia, testimoniare che l’impegno porta frutto. Ho visto e salutato tante persone che si spendono a vario titolo per dare un volto accogliente e dignitoso a questa terra meravigliosa.

Sorrisi, abbracci e volontà di rimboccarsi le maniche, come sempre, nonostante tutto.