#diaridanesi parte prima: mamme, ve la do io la hygge

5c6f6176-c575-4d44-a6d4-8ece39db2f37

Quante volte lo abbiamo scritto, che la Danimarca è la nazione più felice al mondo, che ha il divario fra salari maschili e salari femminili più ristretto al mondo, o che ha parecchie donne in posizione di potere. Così, quest’estate non ho saputo resistere e ho trascinato tutta la famiglia tra Copenaghen e le spiagge ventose dello Jutland. Compagno, figlia (recalcitrante) e ragazzino (entusiasta). Vi risparmio l’arrivo del bagaglio in anticipo rispetto allo sbarco dei passeggeri, nemmeno un minuto abbiamo dovuto aspettare ai nastri trasportatori. E Vi risparmio anche i 12 minuti secchi di metropolitana dall’aeroporto al centro della città. Perché c’è una cosa, della mia prima sera a Copenaghen, che mi ha colpito ancora di più dell’efficienza socialdemocratica.

Raggiungiamo il nostro appartamentino prenotato con Airbnb. Ci accoglie Jessica, la proprietaria, bellezza nordica come da copione. In realtà lei è svedese, questa casa in Danimarca le serve solo come punto d’appoggio quando deve venire in trasferta di lavoro a Copenaghen. “Ciao, questo è il mio fidanzato. Che carini i tuoi bambini”, mi dice. “Tu ne hai?” le chiedo. “Una – mi risponde – ma parecchio più piccola. Ha solo 10 mesi”. Certo, è impegnativa le dico io, ricordandomi con un leggero senso di vertigine i primi tre anni difficili delle mie creature. E mentre lo penso provo una certa invidia per quella sua aria fresca, per niente provata dall’accudimento 24ore su 24. “Dov’è la piccola?”, le chiedo ancora. “Oh, con suo padre, in Svezia”.

Con suo padre, in Svezia. Sono le 23, con tutta probabilità Jessica non potrà essere dalla sua bambina prima di domani. Ed è anche molto probabile che in Svezia ci vada dopodomani, visto che è qui a Copenaghen con il suo fidanzato e non sembra avere alcuna intenzione di lasciarlo da solo.

Con suo padre, in Svezia. “Hai capito?”, dico al mio compagno. “Ricordami quando è che tu sei stato da solo per più di 12 ore con uno dei tuoi figli, quando avevano dieci mesi”. “Mai”, risponde lui, ride e mi dà la buonanotte. Io però non dormo. E penso. Quante delle mie amiche hanno lasciato figli così piccoli ai mariti o ai compagni per qualche giorno, e sono partite per quel viaggio di lavoro, oppure si sono concesse quel weekend con altre amiche? Nessuna. Quanti mariti e quanti compagni avranno detto loro “perchè no?”, lasciandoglielo fare a cuor leggero? Sempre nessuno.

Con suo padre, in Svezia. Ecco che cos’è, la hygge danese. È sapere che qui (o in Svezia) un padre vive come una cosa normale il farsi carico di un neonato, dal latte al pannolino, fino alle coliche, anche per sette giorni di seguito, se serve. E che tutto questo non merita lo squillo di trombe degli eventi eccezionali, ma è semplicemente la quotidianità di una coppia. Conosco anche madri, va detto, che persino di fronte a un padre consenziente non se la sentirebbero mai e poi mai di separarsi dalla creatura per più di un pomeriggio. Quel che è certo, però, è che non conosco nessun padre che abbia mai accettato di farlo, come se fosse una cosa normale.

Con suo padre, in Svezia. Vuol dire che ci sono posti al mondo dove mamme e papà sono veramente intercambiabili. E questo per una donna vuol dire non dover lasciare nè il lavoro nè la vita privata, se vuole un figlio. Sfido poi, che qui in Danimarca le donne sono felici. Hygge!

  • Marco |

    L’articolo mi lascia un po’ perplesso. Non considera per esempio il fatto che questa ragazza evidentemente non allatta e non è detto questo sia un bene.
    Inoltre non considera che sono spesso i bambini così piccoli che cercano disperatamente la madre. Io sono padre italiano e ho tutte le caratteristiche di quel padre svedese, ma solo ora che mia figlia ha due anni riesco a tenerla da sola con me, prima se non c’era la mamma intorno era un delirio insostenibile, eppure io ci sono sempre stato al pari della madre..

  • graziani |

    ma un articolo sulle madri che negano i figli al padre , che non vengono mai sanzionate (anzi glorificate e comprese sui giornali e tv) , che smette di lavorare perchè il padre è “inadeguato” , che quindi invece di affido condiviso pensa all’assegno di mantenimento. E i tribunali che non ammettono la figura paterna ed hanno trovato la residenza prevalente ? E si continua a scrivere/dire “io di padri che vogliono stare con i figli non li conosco”. Giornalismo o articolo da autocelebrazione da mamma mediterranea con il retrogusto di martirio.

  • Carol |

    Resto sempre stupita della fatica raccontata dalle donne soprattutto italiane quando parlano della loro maternità… facciamo pochi figli abbiamo molti sostegni eppure perdere qualche ora di sonno o il pianto di un bimbo ci “prova”.. quei primi fatidici tre anni… e in parallelo abbiamo la descrizione di padri che continuano imperterriti la loro vita, indifferenti al sacrificio delle proprie compagne… Indubbiamente c’è ancora una forte delega alle donne e in tutti gli affari di famiglia, ma ci sono visibili cambiamenti anche negli uomin, un modo diverso di vivere la paternità che se non raggiunge vette svedesi ê lontana miglia dalle generazioni precedenti. Io ho continuato a lavorare e mio marito, meridionale e militare, per stare negli stereotipi, ha seguito e segue con molta più presenza mio figlio di me da biberon e pannolini… e conosco molti padri efficienti e più presenti e soprattutto nessuno che si meravigli…

  • Francesco |

    Sono stato a Copenaghen un mese fa ed ho trovato anch’io la stessa situazione. Sui padri però non sono d’accordo, mi sono sempre preso cura allo stesso modo dei miei figli; tutte le persone che mi circondano lo fanno normalmente.

  Post Precedente
Post Successivo