Sindrome di Down: occorre una nuova comunicazione

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In questi tempi di #hashtag, di cancelletti che aprono e chiudono conversazioni, ho chiesto a Nicoletta Iacobacci, esperta di etica e comunicazione quali potrebbero essere le parole chiave per descrivere la Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo. La risposta è stata: #Rispetto, #Umanità, #Mettereallaprova, #Autonomia. Quattro pilastri. «A livello di comunicazione sicuramente si può registrare un cambiamento – commenta Jacobacci – rispetto agli anni passati, perché gradualmente è stata data la possibilità alle persone con sindrome di Down di mettersi alla prova, di dimostrare la qualità del contributo che sono in grado di dare. Credo che queste siano le priorità da tenere presente. Un cambio di passo, dunque, c’è stato per fortuna». «E non lo dico solo da esperta di comunicazione» aggiunge. Scrollarsi di dosso il pietismo e il buonismo dal modo di comunicare le diverse abilità, non è operazione facile, ma lentamente, forse, ci si sta avvicinando all’obiettivo.

downLe parole di Nicoletta Iacobacci fanno il paio col tema della nuova campagna di comunicazione internazionale promossa da CoorDown, coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down, e realizzata in collaborazione con l’agenzia Publicis di New York, proprio in occasione della tredicesima edizione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Il messaggio è chiaro, si intitola #IncludeUsFromTheStart  e sottolinea la necessità di sostenere l’inclusione scolastica, favorendo la piena partecipazione alla vita della comunità di appartenenza. La campagna, partita ieri, 19 marzo, ha il suo fulcro in un video intitolato “Lea goes to school” in cui una bimba legge una storia dove è protagonista una bambina con sindrome di Down alle prese con il primo giorno di scuola.

Ad attenderla potrebbe esserci una scuola speciale, amici speciali e un futuro ispirato da quest’impostazione di diversità. Lea, però, non la pensa così e al bivio sceglie l’altra strada. #Autonomia. «La giovanissima protagonista sembra avere già le idee chiare sul futuro – spiega l’associazione CoordDown nel comunicato stampa che annuncia la campagna  –  la strada che vuole percorrere, anche se piena di ostacoli, non ha nulla di speciale e comincia esattamente nello stesso punto in cui comincia per tutti gli altri bambini». Dunque, l’invito su cui fa leva “Lea goes to school” (realizzato insieme a DSi – Down Syndrome International e con il contributo di Down Syndrome Australia e All Means All – The Australian Alliance for Inclusive Education) è un sostegno fattivo all’inclusione scolastica degli alunni con sindrome di Down, in grado di favorire la loro piena partecipazione alla vita della comunità, per contribuire ad un definitivo cambiamento di prospettiva. «Questa è la scuola a cui tutti gli studenti hanno diritto, compresi quelli con sindrome di Down e altre disabilità – fanno sapere da CoorDown –  la realtà si rivela spesso un’altra. La scuola inclusiva è un mondo tutto da costruire: molti paesi negano o limitano il diritto degli studenti con disabilità a essere educati in scuole o classi regolari e persino l’Italia, pur avendo un quadro normativo tra i più avanzati – dove le scuole speciali sono state abolite da oltre quarant’anni – ha ancora molta strada da fare. Perché la piena inclusione si realizzi servono modifiche strutturali e organizzative, un adeguamento dei programmi, una formazione specifica per insegnanti e dirigenti scolastici, servono genitori che colgano l’importanza di questo processo e ne agevolino lo sviluppo e studenti che imparino a stare in classe con gli altri, anche con chi è diverso da loro». #Rispetto.

Il CoorDown ricorda, inoltre, che l’articolo 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità riconosce il diritto a un’educazione inclusiva come diritto umano delle persone con disabilità.

annaDello stesso avviso è anche Guido Marangoni, papà di Anna, 3 anni e mezzo. Ha pubblicato un libro “Anna che sorride alla pioggia” (Sperling&Kupfer, 2017) e in un sito  racconta la sua esperienza che è anche diventato uno spettacolo divertente ed ironico portato in giro per l’Italia. Un punto di vista “leggero” e nuovo su quello che è considerato “politically correct”. «Per me giornate come questa e temi di questo genere sono necessari per sensibilizzare e, come dico sempre io, prendere confidenza con la diversità – dichiara  – e per scoprire che dietro di essa si nasconde sempre una persona». #Metterliallaprova.

down4«Non è facile non cadere negli stereotipi – aggiunge – che mi creano inevitabilmente una sensazione di disagio, così come le categorie e le etichette. Per questo è importante lavorare tutti insieme, soprattutto insieme ai media, per trovare le giuste modalità per comunicare e far conoscere le diversità per “sostare” dinanzi a loro, favorire l’incontro e abbattere il muro, perché non siamo abituati a questi tempi, e ciò francamente mi dispiace». #Umanità.

Per questo hashtag la riflessione si sposta su una notizia ( che ha fatto il giro del mondo, secondo cui in Islanda non ci sono bambini affetti da sindrome di Down perché abortiti dopo la diagnosi prenatale. «Davanti a questo genere di notizia non mi sono scandalizzato – puntualizza – quanto piuttosto mi ha spaventato il ragionamento che c’è dietro.  Se ci basassimo solo e soltanto sulle previsioni della scienza, che cosa faremmo se uno strumento che analizza il nostro stile di vita ci dicesse che tra un mese avremo un infarto? La società perfetta è quella in cui eliminiamo ogni disabilità evidente ed esplicita? Invece, è necessario imparare a raccontare le disabilità implicite che ci sono dentro ognuno di noi. Ciò che conta è mettere la persona al centro. Quando vado in giro per l’Italia per presentare il libro, resto sempre molto sorpreso perché esso diventa un amplificatore di dinamiche che ci riguardano tutti. Forse, il mondo oggi non è pronto – chiosa Marangoni – per mancanza di occasioni di incontro».

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  • Maria Pia D'Urbano |

    Interessantissimo

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