A volte dove fallisce la società offline arriva l’inclusione di Facebook

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Mentre in Italia in questi giorni si dibatteva sui licei bene di Roma e Milano che per attrarre nuove leve si sarebbero fatti portatori di atteggiamenti discriminatori, identificando tra i propri punti di forza l’assenza tra gli alunni di marocchini, poveri e handicappati, io ero a Londra, a vedere le comunità nate dentro Facebook prendere vita. Dalla foto profilo online a sedersi vicino a quei ‘Community Builders’ che amministrano (è questo il termine tecnico) ogni giorno 200 milioni di persone iscritte ad un gruppo significativo per loro su Facebook. Fightthestroke era tra questi, al primo Summit Europeo delle Comunità di Facebook c’erano solo 10 gruppi a parlare di salute e a rappresentare la classe dei ‘pazienti’ che cercano soluzioni e confronti dal basso, proprio dall’Italia, identificato come uno dei Paesi con il maggior numero di persone che utilizzano i gruppi.

A cena avevo a fianco le ‘Healthy sisters’, sorelle olandesi che dopo aver visto fallire tutti i tipi di diete hanno ispirato una comunità di 17.000 donne con il loro stesso problema. In autobus ero seduta vicina a Leighton dei ‘Berlin Bruisers’, il primo club di rugby omosessuale e inclusivo della Germania. Tutte rockstar per i loro membri, un sistema di supporto trasversale, silenzioso ma potente.

E così mentre nel mio mondo offline tutti si fregiavano della legge sull’inclusione della scuola italiana, nessuno era andato a leggere dentro ai gruppi Whatsapp di classe, lì dove le mamme si lamentano del programma scolastico rallentato a causa di ‘quel bambino che parla strano’ o decidono che il regalo di Natale si fa a tutte le maestre tranne che all’insegnante di sostegno. Per carità: ‘quella lì mica aiuta mio figlio’. In apparenza tutto a norma, nel sommerso il fuori norma fa ancora paura e va allontanato, dai licei come dai posti di lavoro.

Dall’altra parte, nel mio mondo online che a Londra per due giorni si è palesato offline, ho visto l’ode alla diversità e all’inclusione, un Misfits Summit che ha riunito 150 gruppi da tutta Europa, 21 diverse lingue, solo 15 i gruppi scelti dall’Italia: da MissBiker, la più grande comunità di donne italiane appassionate di motociclismo a Social Street International, che offre l’opportunità a coloro che vivono nella stessa via o quartiere di conoscersi e aiutarsi reciprocamente. Federico mi ha raccontato che l’idea delle social street gli è venuta quando si è trasferito a Bologna: una famiglia in crescita, nessuna rete di supporto parentale, come fare a trovare un amichetto per suo figlio se non appellandosi alla rete più vicina, quella della sua strada, del suo quartiere?

Nascono tutte così queste comunità, un territorio di esperienze in comune, un bisogno impellente da risolvere: anche a Mark Zuckerberg era successo così, nel 2006 lancia la funzionalità del newsfeed su Facebook e i ‘pochi’ amici dell’epoca, agli esordi del primo Social Network per definizione, cominciano ad aggregarsi in gruppo, da zero a un milione di iscritti. Il gruppo si chiamava ‘Students against newsfeed’.

E poi i messaggi delle presentazioni di apertura, tante esperienze personali, tanti annunci essenziali: ‘Abbiamo inserito questa nuova funzionalità perché ce l’avete chiesta’; una diagnosi di una malattia grave e Nicola Mendelsohn, numero uno di Facebook in Europa, ringrazia in plenaria Nicky dall’Australia, per averla aiutata a mettere insieme i punti, a sentirsi paziente attiva, nel gruppo sul linfoma.

Partecipare ai workshop è stato un pò come aprire un thread di conversazioni ma dal vivo, un po’ Black Mirror ma senza gli effetti speciali: ‘Come posso gestire i conflitti nel mio gruppo?’ e dove il product manager non arriva a rispondere ecco lo smanettone polacco che condivide quanto già sperimentato nel suo gruppo: ‘don’t hesitate to be bold’, non temere di essere deciso e punire i comportamenti negativi.

Se ti è venuto in mente di creare un gruppo e gestirlo, una dose di empatia superiore alla norma dovrai pure averla, e noi ti diamo gli strumenti adatti ad aggregare e proteggere le persone, anche contro bullismo e fake news.

Mai sentito così tante volte in due giorni sentir parlare di ‘downshifting’, gestori di gruppi che rivedono le proprie priorità di vita, per vivere meglio; di ‘side projects’ che nascono da una passione o da una necessità e arrivano ad occupare così tanto tempo e spazio che si trasformano in ‘early retirement’. Qualcuno di questi gruppi è diventato un business ‘100% built-in-Facebook’, qualcun altro teme di perdere la magia se si dovesse cominciare a monetizzare il valore della community. Tutti contenti però di tornare a casa con in mente l’immagine del libro di Joseph Campbell, ‘L’eroe dai mille volti’, tutti un po’ figure mitologiche che trasmettono modelli di vita, in continuo cambiamento.

Proprio vero, da vicino nessuno è normale. E per fortuna.