Se le farmaceutiche tolgono la speranza ai malati di Alzheimer

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“Ah che bello vederti, e come va col fidanzato? Ti tratta bene?”. Queste sono le ultime parole lucide che mi regalò una delle menti più brillanti che io abbia incontrato in vita mia. Era la mente di una donna straordinaria per allegria, acume, conoscenza e dolcezza. Sei mesi dopo questa donna non mi riconosceva più.

Sono trascorsi 18 anni da quelle parole: 18 anni di assenza di mente e assoluta, indefessa presenza di corpo. 18 anni in cui questa donna ha smesso di riconoscere i suoi figli, non ha potuto raccontare le favole ai suoi nipoti che sono nati quando lei era già ammalata. 18 anni in cui la sua memoria si è sgretolata come un biscotto passato e ripassato senza posa in un frullatore. 18 anni in cui suo marito non ha mai smesso di amarla e imboccarla ogni sacrosanto giorno, rinunciando all’amore di lei, accontentandosi della sua presenza assente.

L’Alzheimer è una malattia dalla quale, solo in Italia, sono colpite 600mila persone (secondo i dati diffusi  lo scorso settembre in occasione della giornata mondiale dedicata alla lotta a questa patologia) e che, se vogliamo credere alle stime degli esperti, tenderà a crescere a una velocità proporzionale all’invecchiamento della popolazione mondiale. Un guaio enorme per un costo sociale elevatissimo che è poca cosa paragonata al costo emotivo che pagano coloro che hanno un familiare con la memoria in briciole.

Ed è proprio a loro, a quelli che sono costretti a vivere il quotidiano abbandono della mente di qualcuno che amano, che ho pensato mentre leggevo le indiscutibili motivazioni che hanno spinto la Pfizer (colosso farmaceutico americano) a scegliere di abbandonare la ricerca su Alzheimer e Parkinson: “Troppo scarsi e insoddisfacenti i risultati”, ha fatto sapere l’azienda. E dunque addio speranze, o quasi, perché è facile prevedere che se molla il colpo una delle più grandi case farmaceutica del mondo, presto saranno in molte a seguirla.

So bene che il primo dovere di ogni impresa, grande o piccola che sia, è di mettere in fila i conti e calare la mannaia sui costi che non producono benefici, ma… Ma non posso fare a meno di pensare al cinismo di questa scelta che, di fatto, butta a mare la speranza di milioni di persone.

Una volta un medico che doveva fare i conti con un tumore al cervello (che in 10 mesi se l’è portato via) mi disse: “Nessuno: medico, infermiere, ricercatore  che sia ha il diritto di portare via la speranza a un malato e ai suoi famigliari”.

Nemmeno un gigante farmaceutico. Perché non stiamo parlando di un’azienda di scarpe che toglie dal commercio un modello che non va: stiamo parlando della vita di milioni di persone nel mondo. E dovrebbe esserci un vincolo, una legge, un editto scritto col sangue, una roba da far vergognare Dracone, in grado di non far buttare a mare la ricerca di un’azienda che opera nel settore farmaceutico. Perché a tutto dovrebbe esserci un limite: anche alla necessità di far quadrare un bilancio, se c’è una valenza sociale, sanitaria, di diritto a star bene.

alzaChe io non so immaginare l’angoscia di una persona a cui sfuggono i ricordi, che ogni giorno perde un pezzo del suo passato, non importa quanto grande sia il ricordo. Una persona alla quale un neurologo è costretto a dire che piano piano, inesorabilmente, dimenticherà la faccia dei suoi figli, dei suoi affetti. Dimenticherà la strada di casa, dimenticherà di averla una casa. Non so immaginare il terrore che salta alla gola di un figlio che ogni giorno assiste alla perdita di quei ricordi di suo padre o di sua madre. Un figlio che sa che una mattina gli occhi di sua madre non lo riconosceranno e saranno incapaci di tranquillizzarne il cuore spaventato.

Che esistono infiniti modi di morire ma ne esiste uno solo di morire vivendo ed è dimenticare la vita.

Ma non è vero, ho scritto una bugia e vi chiedo scusa: io un po’ la conosco l’angoscia di un figlio che deve provare ad accettare una diagnosi inascoltabile. La conosco, ma come vedete, la rifiuto e sono disposta a mentire a chiunque, partendo da me stessa, pur di non affrontarla.

La conosco da un annetto e provo a seminarla fingendo che i passettini incerti, la testa fra le nuvole, la perdita dell’orientamento siano solo fantasie di una madre troppo ansiosa. La verità è che mio padre non sta bene, la sua bellissima testa ogni tanto sfarfalla, e io sono terrorizzata.

La verità è che se la Pfizer molla mio padre, se molla lui e gli altri come lui, io e gli altri figli come me veniamo scippati della speranza, e questo non è giusto: anzi è crudele.

  • Rosario Strano |

    E’ un’emergenza globale, si sono sprecati anni, questa ricerca deve essere gestita dagli Stati, cioe’, dai Cittadini. Preoccupano dati ancora ufficiosi,statistiche approssimative, e ancorpiu’ preoccupa il buio sulle causali di queste malattie, mia moglie “Vive” con una diagnosi da 5 anni.

  • Annaluisa |

    Condivido il dramma perché ho mia madre che da dieci anni soffre di questa malattia ed è terribile vederla così inerme ed incapace di riconoscere la sua unica figlia.

  • Elena |

    Condivido pienamente il pensiero e l angoscia che si prova e che ti distrugge dentro giorno dopo giorno.
    Posso capire il punto di vista delle aziende farmaceutiche, ma lo stato dov’è?
    Lo Stato deve finanziare la ricerca, è fondamentale per poter arrivare a trovare la cura per questa malattia e per tante altre.
    L individuo ha diritto alle cure, dobbiamo fare qualcosa per ottenere ciò che ci spetta

  • Livia |

    Conosco molto bene il problema da 11 ann.
    La mia esperienza di figlia, oltre che di professionista di un servizio riabilitativo psichiatrico precedente, poi di mamma, mi ha aiutato tantissimo a capire l’evoluzione di questa malattia.
    A partire da un danno organico progressivo, quello che più crea costi sociali ed emotivi è la regressione non solo delle capacità cognitive ma anche dei comportamenti affettivi.
    I malati di Alzheimer hanno una regressione simile alle fasi dell’età evolutiva, solo in senso inverso.
    Quello che aiuterebbe molto i familiari sarebbero, oltre ai farmaci necessari, approcci coerenti a questa condizione che aiuterebbero ad alleviare tutti i comportamenti oppositivo e a volte aggressivi che tanto scompensato le famiglie.
    Se un bambino si calma con le coccole, il ciuccio, i pupazzi, il bagnetto, le abitudini, anche il malato di Alzheimer ha bisogno più o meno delle stesse rassicurazioni.
    Questo approccio semplificherebbe molto la gestione e migliorerebbe l’umore della persona e dell’ambiente.

  • Luisa Catenacci |

    Perfettamente d’accordo accordo: non si possono tradire le speranze di vita di tante persone per una pura questione di interessi materiali materiali

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