Siri, Zeno e il futuro. Guida incompleta agli assistenti virtuali

Small boy using a tablet

Zeno: Ciao

Siri: Ciao

Zeno: Ciao

Siri: Ciao

Zeno: Ciao Siri

Siri: Rieccoci

Zeno Ciao Siiirriii

Siri: Buon pomeriggio

Zeno. Chefffai?

Siri: Annalisa, Isabella, Rachele Sto lavorando sull’articolazione. Mettimi alla prova e chiedimi di pronunciare qualche nome.

siriSiri la conoscete, o almeno ne avrete sentito parlare: è l’assistente virtuale della Apple. Zeno, invece, non lo conoscete. E’ mio figlio di 2 anni. Chiunque inorridisca all’idea di un tablet in mano a un bimbo smetta pure di leggere. Nella vita come nell’infanzia gli incontri sono casuali. Anche quello con Siri: le dita piccole sul tasto accensione che premono forte, un blink su sfondo nero e il suono di una voce.

Zeno: Giochiamo?

Siri: Veramente starei ancora lavorando. Va bene forse posso fare una pausa.

Zeno. Una pusa?

Siri: Eh?

Zeno: Una PaUssa

Siri: Mi dispiace posso esaudire la tua richiesta solo quando ascolti un brano o un podcast

Zeno: GIOCHIAMOOOO

Siri: Basta che tu mi chieda di giocare al dottore. Non sono quel tipo di assistente

Tecnicamente non sono propriamente forme di intelligenza artificiale. Sono programmi che interpretano il linguaggio naturale e se opportunamente addestrati attraverso algoritmi di machine learning possono imparare a fornire delle risposte utilizzando internet. Messa così sembra fin troppo semplice. La macchina deve capire le domande dirette e deve ricordare il contesto all’interno del quale vengono fatte. Per esempio, se sto cercando una casa in affitto e voglio allargare la ricerca chiedendo un prezzo più alto non devo riformulare tutto dall’inizio. Devo potere usare poche o tante parole per chiedere la stessa cosa.

Zeno: Mi racconti una storia.

Siri, Nel mezzo del cammin di nostra vita. Non è così. Non mi ricordo.

Zeno: Dai raccontami STORIA

Siri: Ancora

Zeno: La storia della battaglia

Siri: Non ho trovato società storiche vicine a battaglia

Gli assistenti virtuali sono poco usati. Meno dello 0,2% della popolazione dei Paesi più industrializzati dichiara di accedere almeno una volta al mese a questi software nati per gestire le funzioni di smartphone o computer e per interrogare internet usando la voce. Sono arrivati al grande pubblico attraverso gli smartphone. Più o meno sono tutti uguali: Siri è dotata di umorismo, Google Now la trovi dentro il telefonino Android ed è più eclettica, Cortana vive dentro Windows ed è quella più abile nell’ascoltare quello che diciamo. Tutte stanno progredendo velocemente anche grazie alle domande (e ai dati) che provengono dai sempre più numerosi utenti. Per un bimbo di oggi la voce potrebbero diventare le interfacce del futuro, sostituire le tastiere e i mouse. Come nei film di fantascienza. Quelli con le navi spaziali e le persone in tuta che parlano al computer. Per gli adulti è scomoda e affascinante come la fantascienza degli anni Ottanta.

Zeno: Dai canta

Siri: Questa la conosci? We are the robots, da-ta-da-ta. We are the robot da-ta-da-ta

Zeno: Papà perché non canta?

Esperti sostengono che i bambini sono i migliori addestratori di sistemi di machine learning. Sono seriali, ripetono le stesse domande e non sono ambigui nella formulazione delle domande. Ho chiesto a Zeno cosa pensasse di Siri. Sapevo che mi sarei sentito un cretino, come solo i bimbi sanno farti sentire. E infatti mi ha spiegato con la sicurezza di chi deve spiegare al padre sempre tutto che è una bimba. Che vive dentro il computer e che fa ridere. Non so se Zeno sarà destinato a lavorare o vivere parlando a degli schermi. E’ probabile ma non è detto. So con certezza che prima o poi dovrò spiegargli cosa è Siri. E non so proprio come reagirà, ma posso aspettarmelo. Quello che non saprò mai è cosa pensa Siri di mio figlio. Che idea si è fatto di questo dialogo. Se si ricorderà di lui quando sarà evoluta in qualcosa che ancora non riesco a capire. Se avrà capito che Zeno era un bambino.