Le migliori aziende dove lavorare se sei un papà

img_2918Dove manca il congedo di paternità riconosciuto dallo Stato, le aziende si fanno carico di riconoscere diritti ai padri. È il caso degli STati Uniti, dove Il welfare pubblico è piuttosto limitato e i datoir di lavoro si fanno supplenti per attrarre o trattenere i talenti migliori sul mercato. In questo contesto Fatherly, forse la più importante testata statunitense che tratta i temi della paternità, da tre anni pubblica un ampio report sulle facilitazioni che le imprese forniscono ai nuovi padri e una classifica delle 50 migliori aziende dove lavorare se si è papà.

Negli ultimi tre anni va detto che, per competizione ed emulazione fra le imprese ed evoluzione dei costumi maschili, i progressi sono stati molti. Si è passati da una media di quattro settimane di congedo pagato del 2015, alle 11 del 2017. Che sono molte, moltissime se si pensa che le settimane di maternità in media sono 15. Inoltre l’88% delle aziende offre altri servizi ai neo papà come la flessibilità dell’orario di lavoro, lo smart working, contributi alla cura e alla scolarità dei figli, asili aziendali e altro ancora.

Le 50 migliori aziende dove lavorare se si è padri appartengono a ogni settore e sono meglio distribuite fra gli Stati dell’Unione rispetto al 2015, anche se prevalgono le grandi startup californiane che forse più di altre si trovano a dover corrispondere alle aspettative dei millennials. Prenderemo in considerazione solo le prime cinque, ma l’intera classifica è disponibile qui.

Vince, anzi stravince, Netflix con 52 settimane di congedo di paternità. A dire il vero non si capisce bene come funzioni. A leggere Fatherly pare che più di un congedo si tratti di un anno di grazia nel quale i neo padri possono lavorare o non lavorare, entrare e uscire a loro piacimento, usare gli uffici di Los Gatos, oppure fare home working. Comunque sia, tanto di cappello al vincitore.

Seconda classificata è Etsy, un mercatino dell’artigianato su internet, per chi non la conoscesse, che concede 26 settimane di congedo in maniera indistinta a mamme e papà. Otto settimane sono consecutive e vanno prese entro i primi sei mesi dalla nascita o dall’adozione. Le altre settimane sono un tesoretto da spendere entro i primi due anni.

Al terzo posto troviamo invece un’azienda tradizionale, American Express, che concede 20 settimane di paternità, ma che ha anche dei programmi di sostegno economico all’assistenza medica per chi inizia percorsi di cura dell’infertilità o chi deve surroga la maternità. A questo si aggiunge anche un programma di flessibilità dell’orario di lavoro e di sostegno economico per chi si affida a tate o asili nido.

Spotify è quarta con 24 settimane di congedo di paternità da spendere entro i primi tre anni dalla nascita o dall’adozione, un Welcome back program che prevede il ritorno graduale all’impegno a tempo pieno, attraverso le formule della flessibilità oraria e del telelavoro, e un gruppo, chiamato “focus on fatherhood”, dove scambiarsi buone prassi, promuovere iniziative “paterno-centriche” e discutere con i vertici aziendali su come conciliare paternità vissuta e carriera.

Facebook è quinta con 17 settimane e Mark Zuckerberg, un capo azienda che del congedo di paternità è diventato testimonial globale con quei suoi famosi due mesi di pausa lavorativa. Facebook inoltre mette a disposizione un “bonus pannolino” per le prime spese a favore del nuovo nato, giorni pagati per accudire i figli durante le brevi malattie e, a quanto risulta a Fatherly, una cultura schiettamente genitoriale che predilige i padri che decido di diventare dei caregiver.

Cosa insegna a noi questa America? Probabilmente che la domanda di paternità – o per essere più chiari, di politiche a favore dei genitori – genera offerta di paternità. Quindi facciamoci sotto anche noi, in questo lembo di Europa meridionale.

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