Adozione sì o no? I dubbi di un potenziale papà

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Mi è capitato diverse volte da quando le mie figlie sono con me, che amiche, conoscenti e perfette sconosciute vedendomi con le bambine mi dicessero: “Anche io avrei tanto voluto adottare, ma mio marito non se la sentiva di affrontare il percorso”. O anche nella variante: “Non se la sentiva di diventare padre di un figlio nato da altri, di cui non si conosce la storia…”.Gli uomini solitamente sono più analitici di noi donne. Agiscono meno d’istinto, meno di pancia e più di testa e, in un percorso come quello adottivo, in cui molte sono le variabili e le incertezze, possono risultare più titubanti.

Ho provato allora a chiedere a Ivan, persona molto riflessiva, riservata, da un anno e mezzo padre felice di uno splendido bambino di 7 anni venuto da lontano, che all’inizio non era però molto convinto di intraprendere il percorso adottivo, di aiutarmi a capire cosa è cambiato a un certo punto e come ha vissuto il percorso. Perché l’iter adottivo è anche e soprattutto un momento formativo di profonda maturazione e di superamento dei nostri limiti.

Quali perplessità avevi all’inizio del percorso adottivo?

Ci sono stati due tipi di difficoltà. Una ancor prima di iniziare il vero e proprio percorso adottivo, rappresentata da un disallineamento temporale tra me e mia moglie: mia moglie era “pronta” molto prima di me, io ho avuto bisogno di tempo per riflettere e metabolizzare un percorso di vita che in realtà non avevo mai messo in conto.
Una seconda difficoltà invece, una volta intrapreso il percorso, è stata quella relativa alla preoccupazione del futuro legame genitore/figlio: “Sarei stato riconosciuto come padre da un bambino con una propria storia, un proprio vissuto e soprattutto due genitori naturali, probabilmente vivi e presenti nei suoi ricordi?”.

C’era qualcosa in particolare che ti spaventava o che non ti convinceva?
Mi ha sempre spaventato “l’ignoto”, ossia le informazioni che non avremmo mai avuto sul passato del bambino. Ero cosciente che ce ne sarebbero state fornite davvero poche, per cui la paura era quella di ciò che non avremmo saputo o peggio avremmo potuto sapere direttamente dal bambino attraverso le situazioni più varie. Che poi è quello che oggi accade nel quotidiano, eppure ora mi sembra così normale, ma per me, che sono una persona profondamente analitica e che deve sempre avere il polso di tutta la situazione, “sapere di non poter sapere” era il più grande timore.

Qual è stata la parte più difficoltosa di tutto il percorso per te?
Due in particolare. Nella parte pre-decreto, le indagini dei servizi sociali; nella parte successiva al decreto, la scelta dell’Ente adottivo cui affidarsi.

E quella che ti ha piacevolmente sorpreso?
Per assurdo proprio l’indagine dei servizi sociali! Ho scoperto professionalità, competenza e sensibilità in una fase del percorso in cui non avevo riposto inizialmente alcuna fiducia.

Oggi che tuo figlio è con voi da più di un anno, come è cambiata la vostra vita?
Il cambiamento più importante è rappresentato dal “monopolio” del nostro bimbo su spazi e tempi che prima erano di nostra esclusiva gestione. La difficoltà quotidiana – e a lungo termine – sta nel riuscire a riconquistare questo spazio senza nulla togliere a lui, includendolo ma anche “escludendolo” nella maniera corretta: penso infatti che ci siano ambiti che debbano essere preservati e che la forza intrinseca della coppia vada salvaguardata per far fronte al grande impegno che un figlio, adottivo e non, richiede. È molto importante non dimenticare questo presupposto. La coppia è ciò che ha permesso il grande progetto dell’adozione, è l’essenza e il cuore della nostra nuova famiglia, che esiste proprio perché la coppia le ha dato vita: custodire questa forza è il duro lavoro quotidiano che, se fatto bene, dà i frutti migliori.

Quali delle paure che avevi all’inizio si sono rivelate fondate e quali sorprese invece hai incontrato?
La difficoltà iniziale nel farsi riconoscere nel ruolo di genitore esiste ed è quotidiana: la gestione delle singole situazioni spesso è faticosa e richiede grande autocontrollo e infinita pazienza. Fortunatamente la coppia in questo aiuta moltissimo. La sorpresa più bella invece è stata l’affettuosità del nostro bimbo. Avevo sempre erroneamente associato alla genitorialità adottiva la rassegnazione a non avere troppe manifestazioni di affetto, e invece ho scoperto una capacità affettiva e anche di contatto fisico che mai avrei sperato, e di cui io stesso – ho scoperto – avevo grande bisogno.