L’ostetrica-startupper che reinventa il parto in acqua

pancione2Un sogno”. Nel senso di obiettivo talmente alto da sembrare irraggiungibile?. “No, io l’ho proprio vista in sogno, quella vasca”. A parlare è Alessia Selmin, 28 anni, ostetrica padovana,  che sei anni fa ha avuto l’intuizione di realizzare una vasca innovativa per il parto in acqua. A quell’idea , visualizzata in una dimensione onirica, sono seguiti due brevetti molto reali, uno per l’Italia e uno esteso a diversi paesi. L’intuizione è poi diventata prototipo grazie a un investitore, l’imprenditore Aldinio Colbacchini, che guida la Solera Thermoform Group di Torreglia.

selminHa realizzato un investimento di circa 200mila euro e mi ha messo a disposizione un pool di progettisti, architetti, ingegneri, che ha saputo trasformare in qualcosa di visibile e concreto le mie esperienze maturate quotidianamente in clinica”, commenta Alessia Selmin, che aveva 22 anni quando ha iniziato a lavorare al suo progetto, autofinanziandosi. Nel 2012 ha depositato il brevetto italiano, poi esteso in formula PCT a tanti altri Paesi nel mondo. Il passo successivo è stato cercare possibili finanziatori attraverso i giornali locali. E così è arrivata  Solera Thermoform Group.

Alessia Selmin, con la startup Alexia, quest’anno ha partecipato alla seconda edizione di  BioUpper, il programma promosso da Novartis e Fondazione Cariplo a sostegno dei giovani startupper, dopo essere stata selezionata tra 151 candidature provenienti da tutta Italia.Già lo scorso anno aveva partecipato alla prima edizione, avendo la possibilità di lavorare con esperti al business plan aziendale.

In che cosa si differenzia la tua vasca da quelle già presenti in alcuni ospedali? “Il punto di forza della vasca Alexia è una pedana mobile sollevabile elettricamente che permette, in caso di necessità, di estrarre la paziente dall’acqua in pochi secondi e di trasferirla sul lettino da parto integrato per eventuali manovre d’urgenza”, spiega l’ostetrica. “Il mio obiettivo è far crollare il tabù, privo di fondamento scientifico, che frena tale pratica in Italia. Il parto in acqua, ad esempio, è molto diffuso in Inghilterra e nel Nord Europa dove esistono dei centri di nascita gestiti direttamente dalle ostetriche in cui l’80% delle donne decide di partorire in questo modo”.

Perché in Italia la percentuale si abbassa? “ Da noi ci sono diversi ostacoli che frenano il ricorso a questa pratica. Le donne la chiedono sempre più frequentemente, ma si fa fatica ad eliminare una certa percezione di insicurezza e le strutture sanitarie tendono a tutelarsi. Per questo credo che la mia sia soprattutto un’operazione culturale: lavorare su una tecnologia impeccabile per migliorare la qualità del travaglio e del parto al più alto numero di donne possibile”.  Oggi Alessia Selmin è alla ricerca della struttura ospedaliera più idonea per dare avvio alla fase di distribuzione del progetto. “Ho fatto tutto questo per le donne italiane, spero di riuscire a rimanere in Italia”, conclude.

  • Elena Delfino |

    Gentile Franco Nicolodi, innanzitutto grazie per il suo commento. Abbiamo voluto dare spazio a un’idea imprenditoriale di una startupper italiana, senza entrare nel merito delle libertà di scelta delle donne rispetto alla gravidanza, tema che richiederebbe un ben più ampio spazio a se stante. Abbiamo semplicemente riportato il pensiero dell’intervistata. Buona giornata.

  • Franco nicolodi |

    Penso che a questa grande scoperta seguirà una campagna di acquisti con nuove spese, consentitemi, inutili. E mi inquieta che un’associazione scientifica faccia pubblicità così sfacciatamente. Ma al di là di questo credo proprio che il diminuito uso della vasca sia in linea con l’aumento di richiesta di analgesia. Fra il resto vorrei tanto che si discutesse una buona volta sull’autonomia della donna nel corso della gravidanza, di tutta la gravidanza abbandonando per un attimo queste ossessioni sul parto che in fondo è solo un momento, è forse nemmeno il più importante. Ci si affanna ad inventarsi ogni giorno una serie di interventi, alcuni appropriarti, altri probabilmente inutili, altri francamente folcloristici, senza chiedersi mai se non sia il caso di favorire nella donna una autonomia che la tenda protagonista della propria gravidanza, in modo da farla diventare un’esperienza di crescita e di libertà individuale, unica e irripetibile. Ma ci rendiamo conto che negli ultimi anni abbiamo ingabbiato la donna in una serie di autentiche aggressioni dove di sono moltiplicati interventi che dovrebbero essere riservati a rare criticità e che abbiamo fatto diventare routine? Pensate solo al cosedetto petcotso nascita che sta diventando un petcorso di guerra. Abbiamo mai chiesto alla donna cosa realmente vuole?

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