Quattro buoni motivi per studiare cinese

imageImparare bene una lingua non dipende solo dall’impegno che ci mettiamo o dalla bravura dell’insegnante ma potrebbe essere una questione di genetica. I ricercatori della Università di Washington hanno seguito un gruppo di studenti cinesi alle prese con un corso intensivo di inglese. Analizzando le scansioni cerebrali hanno notato che all’apprendimento della seconda lingua corrispondeva una modifica della materia bianca – una sostanza che governa le connessioni tra le diverse zone del cervello – e un gene che influenza queste trasformazioni.
Quando nel 2008 mi sono lanciata nell’avventura un po’ folle di imparare il cinese  ignoravo che il successo dei miei studi si nascondesse nei miei geni e tuttora non so quanto sia performante la mia materia bianca. Studiando però ho capito che destreggiarsi con la lingua cinese non è facile: serve tempo, impegno e una memoria granitica, ma ne vale la pena. Ci sono almeno quattro buoni motivi per mettersi sotto con lo studio e con questo spero di essere d’aiuto a qualche neo-maturato alle prese con la scelta della facoltà per il prossimo anno.

Il fattore curiosità. per preparare al meglio ciò che state leggendo non potevo basarmi solo sulla mia esperienza. Allora ho voluto contattare alcune mie ex compagne di università con cui ho condiviso qualche esame e parecchi pomeriggi di studio. Tutte concordiamo che la bellezza di studiare il cinese sta nell’approcciare qualcosa di totalmente estraneo. “Imparare una nuova lingua, mettersi alla prova, conoscere una cultura diversa è l’aspetto più bello” mi dice Claudia, oggi project manager. Altre volte, a rimanere impresso nella memoria è un gesto, come per Giulia: “ciò che ricordo con maggiore affetto è stato l’acquisto del dizionario e i primi gesti per imparare ad usarlo”. Uno degli elementi più critici dello studio di una lingua in cui non ci sono lettere ma hanzi, caratteri, per identificare le parole è riempire pagine e pagine di uno stesso carattere per memorizzarlo ma c’è chi trova un ché di romantico anche in questo: “è molto affascinante vedere come [i caratteri] passano da scarabocchi ad essere più delineati man mano che si fa esercizio” mi dice Costanza che oggi vive e lavora in Cina. Non so se per accumulo compulsivo o per nostalgia ma anche io conservo tutti i quaderni dove mi allenavo nello scrivere gli hanzi. E quando impari a tratteggiare questo, ti senti veramente orgogliosa.

Scelta vincente dal punto di vista economico-politico. Al bando il romanticismo. A 18 anni quando mi sono iscritta all’università la Cina era nel suo boom economico (che più boom non si può) con tassi di crescita a doppia cifra. Ho pensato che imparare il mandarino sarebbe stata una carta vincente per trovare lavoro. Non sono stata l’unica a pensarla così. Nel corso degli ultimi decenni, mentre il paese acquisiva sempre più potere, in tutto il mondo c’è stata una spinta a studiare la sua lingua. La Cina è una delle destinazioni di studio non-anglofone più popolari del mondo. Attualmente viene stimato che ci siano 400.000 stranieri che studiano in Cina. E questo ci porta dritti dritti al terzo punto:

Diffusione nel mondo. Il cinese mandarino è la lingua più diffusa al mondo (per numero di parlanti). Su questo punto incide la demografia cinese: circa un quinto della popolazione globale parla cinese come prima lingua. Unite a loro i non nativi che capiscono il cinese perché l’hanno studiato e coprite gran parte del mondo. E’ un po’ una ‘lingua franca’ in Oriente: Cina, Taiwan, Hong Kong, Singapore. Questo è utile anche nel momento in cui si cerca occupazione. Le aziende sono in cerca di opportunità non solo in Cina, ma anche nei paesi vicini. E nel momento in cui vi presentate sul mercato del lavoro, il vostro curriculum sarà più appetibile. A patto che… prendiate sul serio il quarto punto.

Storia, arte, tradizioni, in una sola parola: cultura. Il gap culturale tra Occidente e Oriente non è da sottovalutare ma è ciò che più mi ha affascinata negli anni di studio. Una lingua così differente dalla nostra rispecchia anche un’altra visione del mondo. E il linguaggio è solo uno strumento per esplorarla. Imparare il cinese significa studiare i suoi 5.000 anni di storia, il suo ricco patrimonio culturale fatto di romanzi, arte e film che riflettono la sensibilità di un popolo. Questa è la una base per conoscere e comprendere chi abbiamo di fronte e comunicare con lui efficacemente, anche quando si parla di business. E’ molto difficile per un italiano imparare il cinese alla perfezione (difficile, non impossibile). Per questo motivo le aziende potrebbero preferire le seconde generazioni di cinesi, persone nate in Italia da genitori cinesi. Ma conoscere la cultura cinese, con i suoi usi e i costumi lontani dai nostri, è molto apprezzato. Qualsiasi tentativo di accorciare la differenza culturale nel mondo degli affari è ben accolto.
Per chi vuole lavorare in Cina è indispensabile sviluppare una “intelligenza culturale”: questo significa non solo saper salutare dicendo nihao ma sapere anche che un biglietto da visita va accettato con due mani, che esiste la cultura delle guanxi, delle relazioni, e l’importanza e della mianzi, la faccia intesa come reputazione. Studiando la storia e la cultura si interpretano le sfumature di comportamento, uno studio che va oltre i libri e richiede tempo e pazienza per approfondire.

  • Supercafone |

    Nun te sbatte troppo solo pecchè sai er cinese. I ggeni daa’ materia bbianca (come pure quea griggia), te danno solo a’ plasticità cerebbrale, ma se nnun la fai fruttà cco l’impegno nun ce fai gnente de gnente. Se potrebbe obbiettà che ppure a capacità de impegnasse po’ dipenne dai ggeni, ma po’ te risponno che po’ dipenne pure da l’esperienze passate (e ppure a’ plasticità cerebrale po’ dipenne da l’esperienze passate). ‘Nsomma, a’ fine è sempre er vecchio dibbattito daa’ natura contro aa’ cultura e ll’unica ipotesi de bbuon senso che sse po ffa è che siamo fifti-fifti.

    E se proprio te preoccupa aa’ materia dentro a capoccia basta che tte fai na corsetta de trenta minuti prima de studià (ma pure dopo) e a plasticità te schizza ae stelle co tutta quea noradrenalina/dopamina/serotonina che te spara er cervello. Po’ ce sarebbe pure n’artro segreto p’aumentà a materia bbianca. Vabbè dai mo volevo tene pe mme ma to’ dico, tanto ormai pure li burini ormai o sanno. Basta che tte compri l’aggeggio pe ffa la tiddicciesse e tta’ spari sull’area de bbroca, cioè su a tempia sur lato sinistro da a’ capoccia, proprio ndo comincia l’attaccatura de li capelli a l’altezza der sopracciglio. Io mo so’ somprato tant’anni fa da l’amici cinesi pecchè me volevo mparà l’italiano, ma è tanta na rottura de coj**i usallo che dopo a prima vorta ho buttato l’aggeggio co tutto er libro pe m’parà lla lingua.

  • Stefano |

    Potrei avere un tuo recapito per sapere di più al riguardo della tua esperienza con il cinese ?
    Anch’io vorrei imparare questa lingua però non vorrei sprecare del tempo grazie la mia email é ootdskk@gmail.com

  • cristina cipolla |

    Analisi, precisa, più che realistica!!

  • Daniele Madureri |

    Ho 76 anni.
    Ho smesso di lavorare a 74 perché il mio settore

    Ho 76 anni.
    Ho smesso di lavorare a 74 perché il settore dei giornali, nel quale operavo, si trova in enorme difficoltà.
    Da ottobre ho iniziato lo studio di cinese.
    concordo in molti punti evidenziati nell’articolo de “Il Sole 24 Ore”.
    Ma aggiungo che la principale motivo

    Ho 76 anni.
    Ho smesso di lavorare a 74 perché il settore nel quale operavo, quello dei quotidiani, si trova in grandi difficoltà, e quindi offre poche attualmente poche opportunità.
    Concordo con le osservazioni esposte nell’articolo de “Il Sole”.
    Aggiungo però che la mia motivazione personale nell’intraprendere llo studio del cinese, cosa che ho iniziato da ottobre, è per il mio futuro professionale…
    Sì perché,se non me ne andrò nel frattempo, tra sei anni conto di intraprendere una attività commerciale Italia-Cina.
    Cordialmente.
    Daniele Madureri

  • Luca |

    Purtroppo devo dissentire con l’articolo. Faccio parte della comunità degli studenti di cinese post-2010. A noi è oramai chiaro che nonostante la crescita economica della Cina, lo studio del cinese (anche quando accompagnato da altre competenze forti) è poco utile nel mondo del lavoro. E non ce lo stiamo dicendo solo noi studenti. La CNBC ha recentemente sottolineato che le imprese non hanno interesse ad assumere personale con conoscenza della lingua cinese perchè anche in Cina la lingua veicolare internazionale è considerata l’inglese (art. Europeans learn chinese but firms say don’t bother). La British Academy, nello studio “Languages: state of the Nation” , evidenzia come sebbene nelle interviste i datori di lavoro indichino il cinese come carta vincente (probabilmente influenzati dalle notizie sulla crescita economica della Cina), in realtà la maggior parte degli annunci di lavoro in Europa è riservato a coloro che conoscano le classiche lingue europee (inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano e lingue nord-europee). Anche le principali università anglosassoni sottolineano che per mettere a frutto la conoscenza del cinese si deve essere disposti a vivere in Cina (e chi abbia messo piede fuori Pechino/Shanghai sa quanto ciò possa essere difficile per un europeo). Il Cinese non può definirsi lingua degli scambi internazionali ed in Europa ha una scarsa utilità in quanto gli scambi con la Cina si realizzano principalmente facendo ricorso alla lingua inglese, e sono i cinesi che vogliono così. La rilevanza della lingua inglese è confermata dallo stesso sistema di istruzione cinese che prevede esami di inglese obbligatori il cui non superamento impedisce la prosecuzione degli studi, peraltro la qualità delle conoscenze linguistiche degli studenti cinesi è in notevole aumento costituendo i cinesi circa il 60% degli studenti stranieri nelle università americane. Purtroppo intorno alla Cina si è alimentata una bolla, che ha portato benefici ai professori e alle case editrici, benefici alla Cina che sta cercando di promuovere un’immagine “positiva” di Pechino avvicinando gli stranieri alla propria cultura (e facendo dimenticare le grandi questioni ancora aperte: Tibet, democrazia, diritti umani, Falung Gong), ma gli unici che ne hanno fatto le spese sono gli studenti, molti dei quali sono senza lavoro a meno che non abbiano deciso di fermarsi lì in Cina (e tra questi comunque non sono tutte rose e fiori)

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