Un secondo. L’ultimo di quattro ore

La maratona è un inganno. Ti vengono in mente queste parole, lette in un post di Cesare Manetti mentre stai correndo da 40 km, e non ne mancano solo due, ci sono quei 195 metri che ti fanno maledire Filippide, come se non fosse finito abbastanza male di suo.

La maratona è inganno, infatti non inizia dallo start, ma dal desiderio di conoscersi o riconoscersi, e non inizia su una strada, ma da una qualche parte tra testa e cuore, difficile da identificare ma di sicuro molto più su delle gambe.

Certo, sono le gambe che ti fanno male adesso. Male ai quadricipiti per tutta la salita che hai fatto, male ai flessori per tutta la discesa, che potevi anche sceglierla più pianeggiante, questa maratona, ma alla fine devi dire che è stata così bella, nella preparazione a distanza con gli amici di sempre, e nei primi 35 km di saliscendi sulle colline, prima del traffico mal gestito della città.

Ma poi, perché parli al passato? Mica hai finito, ne hai fatti solo 41, e sperimenti l’ennesimo inganno, partito dalla collina arrivi sul mare, col caldo, e percorri una passerella sopraelevata sulla marina e sul traguardo. La maglia gialla, regalo di un compagno di viaggio, ti rende identificabile. Senti le grida di tua moglie, vedi tuo figlio che salta chiamando papà, intuisci il passeggino dei piccoli.

Mancano mille metri, mille passi, mille preghiere e mille bestemmie contro il tuo cuore che esplode, e contro la testa che sussurra “Chi te lo fa fare?”

Mezzo chilometro, e ora il traguardo lo vedi davanti a te e non di fianco, fai anche due conti a mente, anzi ci provi, a naso dovresti stare sotto le quattro ore per la prima volta nella tua vita, ma quanto farà 3h56’ più 3’? Cosa sono gli esadecimali? Il cervello ha bisogno di ossigeno, e sarebbe così facile averlo se camminassi, invece di pensare “un passo, un altro, un altro, un altro…” ignorando le vesciche, le abrasioni, il dolore alle spalle. Quadricipiti e flessori per te non esistono neanche più.

E pensi a quando è iniziata per te questa maratona. Almeno un anno fa, quando ti sei dovuto ritirare da un’altra perché non l’avevi preparata, hai assaporato la sconfitta, e che importa se era inevitabile perché erano appena nati i gemelli e tu non dormivi da chissà quanto, figurati se riuscivi ad allenarti, che la corsa è il più stupido e vero degli sport, sei solo con e contro te stesso, non ti perdona nulla, se non fai i compiti sei bocciato, non esiste exploit, il colpo di reni lo lasci a quando giocavi a calcio. In porta. E ora ne hai messi 42 sotto le suole (e anche all’anagrafe, per quel che conta).

Solo che non sono 42 chilometri, sono migliaia, solo ad aprile 210 grazie al coach che ti ha guidato fuori dalla zona di comfort facendoti “sentire” come correvi, alla pazienza di tua moglie che ti ha regalato il tempo per affrontare i lunghi. E grazie a te che hai allacciato le scarpe prima dell’alba e dopo il tramonto, nei fine settimana, nelle pause pranzo, nei parchi milanesi e romani come sul lungofiume trevigiano, sulle colline di Zocca, tra i vigneti di Bertinoro, hai sempre una sacca pronta in macchina.

Che sia iniziata un anno o quattro ore fa, ormai è finita. Finita davvero, stavolta. Un secondo e metterai la medaglia al collo, anzi la metterà tuo figlio, e non hai neanche la forza di alzare lo sguardo a controllare se sei stato sotto o sopra le quattro ore.

Ma, poi… Cosa importa?

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Un secondo. Quanto dura un secondo? Così poco che per scrivere queste poche parole ne ho impiegati una decina. Però non tutti i secondi sono uguali. Alcuni hanno il potere di dilatarsi sino a segnare l’avvenire. Il secondo in cui abbiamo chiuso gli occhi per il nostro primo bacio, quello in cui sono venuti al mondo i nostri figli, quello in cui abbiamo salutato per sempre una persona cara. Questi ce li ricordiamo tutti. Ma il secondo precedente cos’è successo? Quale tumulto agitava le nostre menti e i nostri cuori? Ecco, le storie della domenica racconteranno questi “secondi prima” dei secondi eterni, quelli in cui gli occhi stavamo per chiuderli, le mani per lasciarle o prenderle. Momenti veri o immaginari, vissuti da personaggi più o meno pubblici o ignoti o anche solo da me (ogni autore è narcisista).  Perché forse ce li siamo scordati, eppure non sono mai andati via. Quali sono i “Secondi Prima” dei secondi che hanno cambiato la vostra vita? Raccontateli a giulianopasini@gmail.com e, se vorrete, diventeranno storie.