Cara ministra Boschi, ecco tre paesi da cui imparare per migliorare le pari opportunità in Italia

ANSA

ANSA

Proprio qualche settimana fa, in una delle mezz’ore “a cuore aperto” in cui rispondeva ai cittadini in diretta sui social, il presidente Renzi aveva detto di non avere bisogno un ministero delle pari opportunità perché “aveva ministri uomini e donne in pari numero”, e quindi le pari opportunità erano “tra i ministri”… che è un po’ come dire che non serve un ministero della sanità perché i ministri stanno tutti bene. Ma poi, forse anche perché capitava che all’estero gli ricordassero che in Italia la situazione delle donne è un disastro, come è successo di recente ad Harvard, l’altro ieri Renzi ha dato alla ministra Maria Elena Boschi la delega per le Pari Opportunità.

La situazione singolare con deleghe di questo tipo è che, mentre per fare il ministro dello sviluppo economico è richiesto un curriculum che testimoni qualche competenza sul tema, il ministro per le pari opportunità può non sapere assolutamente niente di pari opportunità. E’ implicitamente richiesto, invece, che appartenga a una minoranza, e quindi abbia avuto prima o poi nella vita problemi di pari opportunità. Nella maggior parte dei paesi sono ministeri retti da donne, la minoranza più numerosa che ci sia.

Bene, la ministra Boschi sembra avere un compito arduo: l’Italia sulle pari opportunità è in uno stato penoso. Siamo oggetto di studio da parte dei 40 paesi che fanno meglio di noi nel mondo in termini assoluti, pur avendo molti di loro economie meno sane. E siamo oggetto di scherno da parte del 110 paesi in cui le donne partecipano a società ed economia più che da noi. Un dato spaventoso raccolto dal World Economic Forum nel 2015, un dato che peggiora anno dopo anno.

Con una sfida così pesante sul piatto, da chi potrebbe trarre ispirazione la ministra Boschi per il suo prossimo operato?

Suggeriamo di dare un’occhiata al Giappone, dove il primo ministro Abe ha deciso già da qualche anno che l’economia può ripartire solo dalle donne. Una decisa sterzata a un paese che ha molti problemi simili ai nostri, presa in mano direttamente dal “capo del condominio”… eppure, secondo le notizie più recenti, ancora non basta: “Mancano i modelli femminili di riferimento”, titolava il Japan Times a dicembre. La vecchia questione dell’uovo e della gallina: servono i role model per ispirare il cambiamento, ma, se non cambi, dove li trovi i role model?

Allora torniamo verso il vecchio continente e diamo un’occhiata alla Svezia, dove a occuparsi di donne, oltre alla “ministra per le donne, gli anziani e i bambini”, c’è anche Kristina Persson, la ministra “per il futuro”. Questa signora che viene dal mondo dei sindacati ha in agenda uno “sguardo sul lungo termine” che mette insieme temi come l’ambiente, il lavoro e l’invecchiamento della popolazione, e, con la scusa del futuro, può influenzare gli altri ministeri ricordando a tutti che c’è un futuro anche dopo di noi, è meglio pensarci adesso.

Troppo all’avanguardia? L’economia italiana non può permettersi una visione così a lungo termine? Allora diamo un’occhiata alla nostra vicina miracolosa: la Francia. Se noi avessimo i loro numeri (tasso di fecondità di 2,1 figli per nucleo familiare e occupazione femminile del 61%), riterremmo di non avere alcun bisogno di un ministero. Invece loro nel 2012 hanno creato un nuovo Ministero per i Diritti delle Donne (questo si chiama parlare chiaro) che, tra le altre cose, nell’agosto del 2014 ha emanato l’Atto di Vera Parità tra Donne e Uomini per una distribuzione equa del congedo parentale.

Insomma, basta guardarsi intorno per trovare delle idee, ed è molto facile migliorare la situazione italiana: buon lavoro, ministra Boschi.